La presunzione di innocenza non esiste! È un principio vecchio tre secoli, è sancito nella Dichiarazione dei Diritti Umani, dovrebbe essere il caposaldo del nostro sistema giudiziario, eppure non esiste. Nemmeno l’ombra.
È solo un’espressione con cui, a turno, ci si fa la bocca; l’evocazione d’uno spiritello sfortunato, che nessuno considera e che batte un colpo sempre dopo, a babbo morto (anzi, arrestato). Altro che caposaldo!
Il Carneade giuridico
È solo il Carneade giuridico al cui cospetto, troppo spesso, Procure e informazione si voltano dall’altra parte; e di presunto non c’è nessuno, c’è solo un colpevole certo, ammanettato, svergognato, annientato. Politicamente, socialmente, familiarmente. Funziona così. E ve lo racconto, perché ci sono passato, indirettamente ma ci sono passato.
Elezioni comunali di Palermo 2022. Adelaide, mia moglie, è candidata al Consiglio comunale di Palermo nella lista di Forza Italia e – per il sistema della doppia preferenza di genere – fa la campagna elettorale con un candidato uomo, tal Piero Polizzi.
Assieme, e in rappresentanza di un laboratorio politico da me fondato (di cui Polizzi aveva voluto far parte fin dalla sua fondazione), conducono la loro normalissima campagna elettorale, coi facsimili, le riunioni, i caffè al bar, i candidati alle circoscrizioni collegati e quant’altro.
L’arresto prima del voto
Tutto bello, tutto liscio, tutto organizzato. Poi, tutta un’altra storia. Il buon Polizzi, politico locale di lungo corso che non aveva mai avuto nessun problema con la giustizia e che io conoscevo da decenni, l’otto di giugno, appena quattro giorni prima del voto, viene arrestato.
È stato intercettato mentre parla con un presunto mafioso (o vero mafioso, vallo a sapere), sproloquiando alla maniera spicciola e tronfia di borgata (sic!), immaginando o lasciando immaginare favori che avrei potuto fare io (allora vice presidente Ast) e chiedendo anche il voto per Adelaide (perché si fa così).
Il clangore mediatico
All’arresto segue un clangore mediatico senza precedenti, che inevitabilmente travolge anche noi. Per me e Adelaide non è un fulmine a ciel sereno, è un terremoto di magnitudo 1 miliardo nella scala Mercalli e nelle scale che temevamo di dover fare anche noi, pur senza mangiare né bere.
Ci è crollato tutto addosso. La vergogna, la paura – quando sei catapultato nell’iperuranio ne hai comunque paura – la incredulità. Poi la presa di coscienza, la necessità di prendere le distanze: Adelaide si ritira dalla campagna elettorale (atto politico, farlo tecnicamente non era possibile).
Il ritiro dall’agone
È garantista, per lei Piero è innocente fino a prova contraria, però si ritira; è troppo per lei, per noi. Troppo chiasso, troppa pressione. Troppo distanti da noi quelle spropositate parole, captate dalle forze dell’ordine e c’è pur sempre l’opportunità politica, che travalica ogni questione di legalità e afferisce alla sfera dell’etica … ma questo è un altro discorso. Fine.
Fine di una campagna elettorale, a cui lei aveva lavorato alacremente per anni, perché le campagne elettorali, oneste e pulite, si preparano negli anni e sono faticose quanto entusiasmanti. Tutto finito! Un’intercettazione, un arresto (a 4 giorni dal voto!) e tutto finito.
Fatica, lavoro, entusiasmo, un’elezione probabile, i sogni di una ragazza, una mamma, follemente innamorata della politica, appassionata come pochi, preparata come non molti. Tutto spazzato via. E la vita di Piero Polizzi – certo, l’aspetto più drammatico di questa vicenda – praticamente distrutta.
Il fatto non sussiste, assoluzione
Passano le settimane, passano i mesi, passano quasi due anni e Polizzi viene assolto perché il fatto non sussiste. Basta, fine della storia. Ai pochissimi, pazienti lettori l’ardua sentenza. Quella del tribunale, lo ripeto, è stata di assoluzione.
Non smetterò mai di aver fiducia nella giustizia e nei suoi interpreti, non smetterò mai di fare il tifo per i magistrati e di schifare i delinquenti, ma non smetterò mai di raccontare questa storia.
E non mi stancherò mai di dire che il nostro Paese sarà un Paese migliore solo quando i presunti innocenti non dovranno più subire il silenzio d’una cella allestita troppo in fretta o lo schiamazzo d’una gogna ch’è lento a svanire o il tic tac inquietante d’un orologio elettorale.