CALTANISSETTA – “Al di là di qualsiasi suggestione massmediatica questo processo ha un’origine complessa favorita dal complesso e completo coordinamento tra la Procura della Repubblica di Palermo e quella di Caltanissetta”. Lo ha detto il procuratore generale Lia Sava nel corso della requisitoria del processo d’appello che si celebra a Caltanissetta a Silvana Saguto, l’ex giudice presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, condannata in primo grado a otto anni e mezzo di reclusione per la gestione dei beni sequestrati, insieme con il suo ‘cerchio magico’.
L’accusa è rappresentata in aula dalla procuratrice generale, Lia Sava, dai sostituti Lucia Brescia e Antonino Patti e dalla pm Claudia Pasciuti, applicata al processo. Caduto il reato di associazione per delinquere, Saguto è accusata, tra gli altri capi di imputazione, di corruzione e abuso d’ufficio.
“Mi sembra importante ricordare – ha detto Lia Sava – la genesi di questo processo. Le indagini non sono scaturite da alcun input giornalistico, ma hanno una genesi di tutt’altra e più consistente matrice rispetto al solletico massmediatico. Nel 2014 la Dda di Caltanissetta aveva avviato un’indagine su una nota concessionaria di Gela di autovetture. È la procura di Palermo che avvia delle intercettazioni per una sospetta attività estorsiva e noi doverosamente avviamo quelle indagini. Più nel dettaglio le indagini di questo procedimento sono state avviate in data 20 aprile 2015. Quindi prima della trasmissione delle Iene la Procura di Caltanissetta aveva già avviato delle indagini su input della Procura di Palermo”.
“Questo è stato un processo doloroso non solo per le parti civili ma anche per chi ha svolto delle indagini – ha continuato il procuratore generale Lia Sava – . Un coltello senza manico, questo è stato per la Procura questo processo: ci siamo feriti anche noi. Dolore lancinante. E vi assicuro che non è un processo all’antimafia, né una singolar tenzone tra le varie anime dell’antimafia”.
“È un processo – ha continuato Lia Sava – che ha cercato di fotografare condotte di reato commesse in un determinato arco temporale da soggetti che rivestivano diversi incarichi. Nulla a che vedere con un processo all’antimafia. Abbiamo fotografato un momento storico di quella fase esistenziale dei protagonisti. Lo scrupolo nella redazione dei capi di imputazione – ha spiegato il procuratore generale – è la prova che questo non è un processo sull’etica ma su fatti giuridicamente rilevanti dei quali abbiamo cercato di fare una scrupolosissima selezione. Non abbiamo titolo per dare giudizi morali, se avessimo voluto parlare di etica avremmo selezionato capi di imputazione generici. Vi assicuro che abbiamo maneggiato con cura il materiale probatorio”.