Quando sei cooperante e svolgi missioni a lungo termine in diverse aree geografiche e politiche del mondo, capisci rapidamente che la Palestina non è mai una scelta per caso o dettata da motivi di carriera. Se sei cooperante e lavori per le ONG, la Palestina è una missione di vita, legata a motivi tuoi, personali, ideologici.
Non si può fare il cooperante in Palestina senza sentire dentro il profondo senso di appartenenza ad un popolo provato nei secoli da profonde ingiustizie umane, politiche, economiche. Lo avverti per strada, tra le vie impolverate delle spoglie città palestinesi, marchiate indelebilmente dai segni della guerra, tra muri crivellati di colpi ed i campi profughi sorti per necessità, dove prima bambini liberi correvano nei prati destinati a dare qualità ad una vita. È allora che comprendi dove sei, e che non sei lì per caso. Comprendi che l’essere cooperante in quei luoghi vale più che esserlo altrove, se mai la povertà e la fame potranno mai essere pesate e compensate.
Certo, hai un compito gravoso ed importante da svolgere, per conto della ONG, ma soprattutto dell’Ente che finanzia il progetto che segui. Ed il modo migliore per fare il tuo mestiere è quello di restare quanto più puoi obbiettivo, realista, e comprendere che il tuo lavoro ed i risultati che esso darà dovranno collimare con il percorso di sviluppo che la zona, la regione o il paese sono in corso di compiere. La bravura sta lì, nel non dare peso al passato, ma sapere infondere gli strumenti utili al loro futuro. Un futuro che a te cooperante non appartiene, poiché spetta a loro sapere correre da soli nella vita che li attende.
Ma in Palestina non è così facile. La gente ti accoglie, ti fa sentire uno di loro. E poi c’è il forte senso di ingiustizia che aleggia nell’aria, il perpetuarsi di situazioni politiche e sociali che calpestano quotidianamente il più elementare diritto che ogni individuo dovrebbe avere: il diritto alla vita ed alla sua libertà. Non riesci a mantenerti ad di sopra delle parti. Senti che sei entrato in un percorso guidato, dove il tuo ruolo, anche quando sarà concluso, non verrà mai dimenticato. Perché il popolo palestinese non dimentica. Così sono certo che Vittorio Arrigoni, atrocemente assassinato, non verrà mai dimenticato da quello che di fatto era diventato il suo popolo d’adozione, per il quale ha speso anni importanti della sua vita, sapendo di avere un ruolo in ciò che stava vivendo. E poco importa se un gruppo di balordi politicizzati lo ha ucciso barbaramente. Sicuramente loro non sapevano quanto Arrigoni era stato capace di dare. Ma il popolo di Gaza, il popolo palestinese non commetterà lo stesso errore. Così come non hanno mai dimenticato Stefano Chiarini, giornalista del Manifesto, che ha sempre raccontato le vicende dei profughi palestinesi. Per fortuna la memoria in quei luoghi è ancora un valore che viene preservato gelosamente. Per fortuna Vittorio Arrigoni come Stefano Chiarini non saranno morti invano.
Alfredo Lo Cicero