Quanto dura un matrimonio? | Se i coniugi non ne possono più - Live Sicilia

Quanto dura un matrimonio? | Se i coniugi non ne possono più

“Ma come, stavano insieme da trent’anni!”. Sì, stavano insieme da trent’anni. E, evidentemente, non ne potevano più.

Lo scorso giugno l’ISTAT ha diffuso un report dal lapidario titolo, “Separazioni e divorzi in Italia – Anno 2012”. In un complessivo contesto di diminuzione dei matrimoni, nel 2012 si sono registrate 88.288 separazioni, mentre i divorzi sono stati 51.319. In Sicilia i divorzi concessi sono stati 3.340, con il 138,4 di percentuale di divorzi concessi rispetto ai coniugati (valore per 100.000). Un tasso di divorzio dello 0,7 rispetto agli abitanti (valore per mille).

In poco meno di un ventennio, nel nostro Paese le separazioni sono aumentate del 68,8% e i divorzi raddoppiati; al momento attuale, tuttavia, i dati relativi alle separazioni mostrano un calo percentuale (-0,6%) rispetto all’anno precedente e anche i divorzi stanno diminuendo (-5,8% in tre anni). Questa lieve flessione però, non è né tale da manifestare un’inversione di tendenza, né rassicurante rispetto ad un assestamento dello status quo. I cittadini italiani, difatti, si recano spesso all’estero per divorziare, al fine di ridurre tempi e costi: solo in Spagna negli ultimi cinque anni si sono registrati duemila divorzi di coppie italiane. In secondo luogo, le separazioni incidono in modo diverso nel territorio: su un campione di mille matrimoni, si registrano variabili che partono da un minimo di 245,8 separazioni al Sud fino a un massimo di 371,9 nel Nord-Ovest. E se la Valle d’Aosta detiene curiosamente il primato dei divorzi, a dispetto dell’effetto relax dell’aria di montagna e delle immutabili candide vette, gli aumenti più rilevanti sono proprio nel Mezzogiorno, con un raddoppio dei valori per alcune regioni.

Vorremmo aggiungere che la crisi economica ha il suo peso, sebbene, a quanto pare, non venga rilevato ufficialmente. E’ improbabile che famiglie le quali non riescono a sopravvivere nemmeno restando insieme possano pensare – pur se disgregate nei fatti – a separarsi. Il divorzio costa: siamo all’ennesimo “doppio binario” fra ricchi e poveri. Anche la riconquista della libertà ha un prezzo che non tutti possono permettersi di pagare. I dati nudi e crudi. Su mille matrimoni si contano 311 separazioni e 174 divorzi. La durata media del rapporto coniugale è di 16 anni rispetto alla data di separazione e di 19 riguardo a quella di divorzio. I matrimoni più recenti durano di meno. Dal 1985 al 2005, le unioni interrotte sono raddoppiate, passando dal 4,5% al 9,3%.

Le nozze religiose sono più stabili. A sopravvivere alla “crisi del settimo anno” (che non è una favola), nel 2012, sono 933 matrimoni religiosi su 1.000 contro 880 su 1.000 matrimoni celebrati con rito civile. L’età media alla separazione è di circa 47 anni per i mariti e di 44 per le mogli; in caso di divorzio raggiungono, rispettivamente, 49 e 46 anni. Questi valori sono aumentati per effetto della posticipazione delle nozze in età più matura e per la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne. L’ISTAT, con scientifica freddezza, ci consegna uno scenario pieno di ombre, dal quale emergono le difficoltà che incidono negativamente sulla vita di coppia, che mostra come il tasso di fragilità del legame coniugale sia altissimo. Una riflessione. Siamo normalmente portati a credere che i matrimoni falliscano nel breve periodo e che siano i giovani i più insofferenti a un legame divenuto ormai una catena. Se è vero che statisticamente la separazione interviene, in media, sedici anni dopo il matrimonio, anche i legami di lunga durata sono a rischio. Non esiste più nessuna boa oltre la quale vi è un porto sicuro e negli ultimi anni, è tutto un coro di esclamazioni del tipo: “ma come, stavano insieme da trent’anni!”. Si, stavano insieme da trent’anni. E, evidentemente, non ne potevano più.

Le coppie sono troppo sole di fronte alla fatica del vivere. Ogni evento negativo le destabilizza, specie nell’attuale contingenza economica: tra le cause “esogene” di separazione vi sono oggi la disoccupazione, la nascita di un figlio indesiderato (che spesso ha “costretto” al matrimonio) o di un figlio disabile, l’uscita dei figli dall’alveo familiare con conseguente demotivazione all’unione, oppure il tradimento, un tempo causa principe. Inoltre, mancano le strutture per efficaci politiche di contrasto alle crisi di coppia, e nessuno segue la famiglia in difficoltà prima della separazione. Un dato curioso: in Italia è solitamente la moglie che decide di presentare per prima in tribunale il ricorso per separazione (nel 67.9% dei casi). Migliaia di cloni di Magda, dunque, la mitica “vittima” del letale Furio che, chiusa nel bagno, sgomenta ripete “non ce la faccio piùùùù” nel noto capolavoro verdoniano datato 1981, ancora così attuale.

Evocata da una platea al femminile, si materializza l’immagine della moglie stressata dell’insostenibile precisino. In misura variabile c’è una Magda in ogni moglie che “resiste”, che per fedeltà all’impegno preso affronta in silenzio l’ardua sfida di avere a che fare quotidianamente con un uomo che, se non è proprio atrocemente pignolo e asfissiante come Furio, è tuttavia convinto di aver ragione, sempre. E se il mantra ripetuto cento volte al giorno, addossate alle domestiche pareti, non sarà sufficiente, perché di Giobbe dall’infinita pazienza ce ne è stato uno solo, non dimentichiamo che, dopo avere mille e mille volte riaperto la porta del bagno per tornare, come se nulla fosse, ad affrontare una quotidianità che mai l’ha vista caricare i bagagli in macchina in maniera razionale, o comprare i salumi dal pizzicagnolo giusto, ma in compenso la vede dimenticare le voci delle liste scaturite dalla smania di controllo, la mite e paziente Magda alla fine si dà alla fuga.

Quante (e quanti) “Giobbe del matrimonio” le somigliano? Che limite ha la pazienza coniugale? Finché dura, nessuno. E’ senza confini quella equanime solidarietà al coniuge che pacifica momenti altrimenti insostenibili (altro che leggerezza dell’essere!). Ed è di questo che “l’altro” si approfitta. E quando il legame, specie se di lunga durata, finisce perché è una donna a volerlo, ci sorprendiamo, perché non ci eravamo accorti che “qualcosa non funzionava”. Quanti camuffamenti, quante mistificazioni di realtà! E se pensate che il modello Furio sia il peggiore beh… mi dispiace deludervi. Sebbene pesantissimo, almeno è un padre  esemplare e un marito fedele. Ci sono (a parte i criminali, è ovvio, ma quelli bisognerebbe aver il buon senso di non sposarli) i megalomani, i pigri, i traditori. E quando cade ogni velo col quale si cercava di rendere accettabile la realtà matrimoniale, per una moglie la decisione presa è, di norma, irrevocabile: la donna lascia perché, prima che sia scritta la parola fine, le ha provate davvero tutte.

Per par condicio, uno sfogo al maschile. “Mia moglie comincia a lamentarsi la mattina e finisce la sera, dice parolacce in continuazione per cose banali (ad esempio quando gli finisce la lacca) poi esce di casa e fa la brillante allegra, io oramai esausto dei suoi lamenti in casa esco depresso e muto pensando sempre “ma chi cxxxx me la fatto fare”! E lei davanti agli amici mi fa: ma fatti una risata sei sempre triste….AI POSTERI LARDUA SENTENZA!” racconta un marito insoddisfatto su un apposito blog. “Ai posteri l’arduo apostrofo”, replica un buontempone. “Non capisco se tua moglie è schiava del make up o non ha capito niente della vita. Guarda con filosofia….almeno non insulta te!! Finché se la prende con la sua lacca… va sempre bene!!! Pensa che la mia ha un rapporto amore-odio con i telecomandi di DVD, SKY E TV…ogni volta è uno spettacolo guardarla che bestemmia in cinese perché non capisce quale deve usare!!”. Un secondo blogger, più intransigente, consiglia invece: “Mandala via. Cosa aspetti a levartela dai ……….”.

Da un post a un servizio di consulenza psicologica online, cogliamo un racconto meno goliardico, emblematico perché tocca una serie di punti essenziali. “Io e mia moglie stiamo assieme da 20 anni. Io sono sempre stato innamorato, lei non lo so. Ho sempre creduto di sì, ma la mia convinzione che il suo modo di amare sia distruttivo, ha lasciato il posto ultimamente ad ipotesi diverse, della serie: non sa proprio amare, oppure non mi ama, o addirittura non mi ha mai amato. Preciso che non c’è nessun altro né da parte mia né da parte sua”. Ecco, aver amato, e ancora amare, senza ricambio. E, per evitare di sentirsi svalutati, pensare che l’altro ne sia incapace; poi, negare in modo netto la possibilità di essere traditi. Il marito infelice continua: “Il week end risulta insopportabile, meglio quando si lavora”.

Verissimo; l’infelicità coniugale è amplificata nei giorni di festa, che spesso diventano teatro di conflitti. “I litigi sono ormai continui, e, giunto all’esasperazione, sto cominciando ad urlare anche io. Lei ha sempre urlato, non solo con me ma con tutti quelli che le sono vicini inclusi i parenti; non sa affrontare normalmente le discussioni: se anche mi dice una cosa e io non ho sentito, urla come una pazza”. Anche questo è vero; quando le cose non vanno, più che discutere ci si urla contro, ed è l’inizio della fine. Che si manifesta quando cade il silenzio. Quando la pazienza, anche quella declinata al maschile, è esaurita.

Gli uomini, come sintetizzava un neo separato, se l’amore finisce restano a casa per i soldi, per la considerazione sociale, e per i figli. Quando vengono meno queste motivazioni, hanno già valicato la porta di casa. Naturalmente, a fronte di chi “scoppia”, c’è il silenzioso esercito di chi resiste. Perché è una guerra di trincea, le cui strategie si esplicano in un paesaggio esterno degno di Blade Runner; difatti la vita di coppia è autoreferenziale. Il segreto meglio custodito al mondo è che quando un matrimonio dura, è perché una delle due parti è soccombente. Non si scappa da questa equazione, da questo principio di Archimede applicato all’essere umano immerso nel liquido del coniugio che riceve una spinta uguale per intensità al peso che occupa nel volume spostato: galleggia meglio chi ha più grinta, chi ha stabilito, una volta per tutte, che tocca a lui (o a lei) dire: “visto che sei lì, mi daresti quello…” e, magari, “quello” è davanti a lui.

Pomeriggio di un giorno qualunque. Mente provo a districarmi da un parcheggio nel quale mi ha incastrata una macchina in seconda fila, con la coda dell’occhio seguo una giovane coppia che litiga dicendosene di tutti i colori a voce alta incurante del pubblico; lei, giovanissima, sposta ritmicamente un neonato da un fianco all’altro. Di colpo si blocca e apostrofa il marito: “Ouuu, mentri ti jetti ebbuci ccu mmia, chidda ti sta ffirrannu a machina!” Certa che si stia riferendo a me, alzo gli occhi e replico “Intanto non è così; e poi, perché non la sposta?”. Immediata e tranchant la replica. “Perché lei non lo ha chiesto! E poi (calcando la voce sul “poi” per farmi la “ripassata”) lei ci stava inferrando la macchina!” Auguri, penso mentre ingrano la marcia indietro. Che vi “inferri” tutta la fortuna di cui avete bisogno.


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