PALERMO – “Cui prodest?”, si chiede il palermitano costretto ad assistere inerme ad un crollo verticale fino all’anticamera della zona retrocessione. A chi può mai giovare il ritorno negli inferi della Serie B, dai quali ci si è liberati brillantemente nel 2014 e che adesso rischiano di essere nuovamente un incubo per tutta la Palermo calcistica? La risposta è la più ovvia di tutte, a dispetto di ipotesi fantasiose costruite prendendo numeri a casaccio: non conviene a nessuno. Quanto accaduto due anni fa dovrebbe anzi ricordare a tutti cosa significhi economicamente la Serie B per un club come il Palermo, ovvero stringere la cinghia e dover rimodulare i contratti in essere per non ritrovarsi scoperti ogni mese, cosa già successa nel corso dell’ultimo torneo cadetto con i rosa ai nastri di partenza.
Togliamoci subito il dente: il paracadute è un cerotto messo su una ferita da arma da fuoco. Certo, passare dai quindici milioni di due anni fa ai venticinque che spetterebbero al Palermo nella disgraziata ipotesi di una retrocessione in questo campionato è diverso, ma pensare che venticinque milioni di euro possano coprire tutte le perdite legate ad un salto indietro di categoria è grottesco. Figurarsi pensare che da questi venticinque milioni si possa riuscire a trattenere qualche dividendo per le tasche personali, cosa che a malapena si riesce a fare con un “normale” bilancio di Serie A, dato che l’ultimo esercizio ha portato in dote uno striminzito utile di poco inferiore ai trecento mila euro. E anche in quel caso, sempre per sottolineare l’ovvio, soldi rimasti nelle casse della società. Venticinque milioni e non un euro di più, perché le ipotesi sulla suddivisione del paracadute in eccesso (oltre a non essere ancora ufficiali, tant’è che dalla Lega B si stanno sollevando moti di protesta) riguarderebbero solo le squadre non promosse al primo anno di B, con tutto quel che ne consegue sul piano economico da una mancata promozione.
Perché il paracadute è sostanzialmente un palliativo per un club del calibro del Palermo? Basterebbe fare una semplice sottrazione: 25 – 34,6 = -9,6. Dove venticinque sono i milioni presi dal paracadute e dove 34,6 sono i milioni persi dai diritti televisivi. È bastato prendere in considerazione una sola voce dei ricavi per portare già in passivo i conti societari. Figurarsi se a questi si aggiungono i ricavi da stadio (4,1 milioni nel 2014/15 in A, 2 milioni nel 2013/14 in B, per una differenza di due milioni), da sponsorizzazioni (2,4 milioni nell’ultimo esercizio e poco meno di 0,5 in Serie B, altra differenza di 1,9 milioni) e da settore commerciale (circa 250 mila euro di differenza). Basta fare una semplice somma e siamo già a 13,7 milioni di euro di differenza. Questo contando solo il fatturato operativo (senza dunque includere minusvalenze e plusvalenze) che dovrebbe attestarsi intorno ai trenta milioni di euro in caso di ritorno tra i cadetti.
Ma un bilancio, si sa, non è fatto solo di ricavi. Ci sono anche i costi, e la vera mannaia per squadre come il Palermo arriva dagli stipendi. Perché se i ricavi crollano, i costi diminuiscono in maniera decisamente inferiore tra Serie A e Serie B. Ancora una volta, basta mettere a confronto le cifre del 2015 con quelle del 2014: gli stipendi al primo anno di massima serie hanno sfiorato quota 40 milioni (cifra nettamente superata se si considerano gli incentivi all’esodo concessi a giocatori ceduti in prestito o a titolo definitivo) contro i 34,8 milioni della stagione in cadetteria, con l’asticella ulteriormente alzata nella stagione in corso. Pressoché identici gli ammortamenti, perché è evidente che riuscire a sfoltire la rosa e tutto il peso che ne consegue in termini di costi è difficile. L’unica opzione sarebbe svalutare il parco giocatori e vendere ad un prezzo inferiore al valore iscritto a bilancio, generando così minusvalenze sanguinose.
Il caso del Palermo è emblematico quando si tratta di ricavi dalla compravendita di calciatori. Per chiudere sostanzialmente il bilancio in pari, il club di viale del Fante ha dovuto “anticipare” la cessione di Paulo Dybala alla Juventus, che per consuetudine avrebbe dovuto incidere nell’esercizio successivo. Non un trucco contabile, in quanto c’è la certezza di avere quel ricavo, ma un modo per non chiudere col segno meno anche il bilancio del ritorno in massima serie, confidando in un percorso virtuoso per la stagione successiva. Un auspicio che andrebbe a farsi benedire qualora la classifica vedesse il Palermo tra le ultime tre, con tutto quello che ne consegue. E lì le cessioni dei gioielli in vetrina servirebbero appena per coprire il buco. Pensate per un attimo che per ripianare un bilancio con i ricavi di Serie A s’è resa necessaria una plusvalenza record (da aggiungere a quelle di Lafferty ed Hernandez) per un totale di 38,7 milioni. Se si volesse chiudere in pari in Serie B, riprendendo quel -13,7 nei ricavi, bisognerebbe andare sopra i cinquanta milioni. E con la massima stima per Vazquez, Lazaar, Quaison, Hiljemark, Chochev e tutto il resto della ciurma, è una missione impossibile. Anche in caso di smobilitazione.