Il fatto non costituisce reato. L’assoluzione chiude una partita di calcio – pardon – una vicenda giudiziaria durata quattro anni. A guardar bene, passando in rassegna attori e protagonisti della storia, ci si sente catapultati dentro la pagina di un libro piuttosto che in un fascicolo giudiziario. Roba da fare impallidire persino Osvaldo Soriano il cui rigore più lungo del mondo andò avanti per una settimana.
E allora ripercorriamo le tappe di quella strana partita di calcio. Campionato nazionale dilettanti, prima categoria, Girone B. Il 16 novembre 2008 il Montemaggiore Belsito ospita la Colomba Bianca. Sul campo i padroni di casa non vanno oltre il pareggio e addio alla Promozione. Mister Giuseppe Zappia non si rassegna. Quella fede al dito sa di presa in giro. Che c’entra un anello nuziale?, vi starete chiedendo. C’entra, eccome se c’entra. Il regolamento prevede che in campo siano schierati due juniores. Per carità, si può anche scegliere di convolare a nozze appena diciottenni, ma è legittimo che la fede al dito del numero 5 desti più di un sospetto in mister Zappia. E così l’allenatore, al triplice fischio del direttore di gara, affida le sue perplessità ai carabinieri incaricati di vigilare sull’ordine pubblico in campetti polverosi e fin troppo bollenti, dove si consumano sfide epiche che valgono quando una finale di Champions league. I sospetti si concentrano su Vincenzo D’Amico e Valerio Lo Monaco. Carte alla mano sono nati entrambi nel 1991. In realtà si scopre che al posto di Lo Monaco è sceso in campo tale Salvatore Amorello, classe 1983 (è l’uomo con la fede al dito). Di D’Amico, invece, i carabinieri che fanno irruzione negli spogliatoio non trovano traccia.
Il primo ad essere convocato in caserma è Salvatore Prestifilippo.Si tratta del presidente della Colomba Bianca che, però, nella distinta era registrato come allenatore. Sentito a sommarie informazioni ammette che Amorello ha giocato al posto di Lo Monaco, mentre l’assenza di D’Amico viene giustificata dal fatto che il ragazzo è andato via senza fare la doccia. Il giorno successivo al cospetto dei militari si presentano D’Amico e il vero allenatore della squadra, Antonino Di Maria (che in un altro processo ha patteggiato la pena) che per le assenze di organico è stato costretto a scendere lui stesso in campo. Ecco perché il presidente in quell’occasione fungeva da allenatore.
La girandola di interrogatori prosegue con Carmelo Di Salvo, colui che ha compilato la distinta incriminata. I carabinieri raccolgono le testimonianze e stilano un’informativa. Non credono alla versione di D’Amico. Il ragazzo quella partita non l’avrebbe giocata. Al suo posto si sarebbe presentato un calciatore molto più grande ed esperto: Fabio Prizzi, classe 1986. Insomma, una faccenda intricata quella sottoposta al vaglio del giudice monocratico del Tribunale di Termini Imerese che ha mandato assolto Fabio Prizzi, difeso dall’avvocato Toni Palazzotto. L’accusa non è riuscita a dimostrare che quel giorno Prizzi sia stato veramente tra gli undici titolari. Non era cosa da poco. L’imputato rischiava il carcere. L’articolo 494, sostituzione di persona, così recita: “Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno”. Ed invece, è arrivata, l’assoluzione per difetto di prova, come si legge nelle motivazioni della sentenza depositate di recente. Amorello era già stato scagionato in un altro dibattimento. Nel suo caso si trattò di un errore di compilazione della distinta delle formazioni.
Difetto di prova nel processo penale. Prova che, invece, è stata sufficiente per la giustizia sportiva che quell’anno mandò a tavolino il Montenaggiore Belsito in Promozione.