(R.P.) Qualcuno tiferà per Delio Rossi, nel suo ritorno a Palermo con la Viola. Qualcuno si spingerà a tanto, non in ossequio a Delio, ma in spregio a Zamparini. Vade retro.
Come, lo scriviamo proprio noi che abbiamo sempre asserito il principio del libero amore in libero stadio? E lo scrive proprio chi, da anni, professa una notoria eresia romanista in terra rosanero? Sì, perché la sceneggiata palermitana che seguirà il ritorno di Delio, l’amarcord con l’uomo della coppa sfortunata, non si consumerà in un semplice tributo d’amore, come sarebbe nobile e consigliabile. Sarà una clava agitata contro il petto del sor Zamparini Maurizio. Le vediamo, acquattati negli angoli, o con il coraggio dell’outing, legioni di antipatizzanti che si leccano i baffi, in attesa di una sonora sconfitta del Palermo, per mano toscana.
Già immaginiamo cosa scriverebbero qui un minuto dopo: avete visto? Il medesimo sciocchino “avete visto?”, dei polemisti che insultano e spernacchiano gli scettici a ogni successo rosanero. Sicché, se il Palermo va, strepitano i primi. Se non va, si inalberano, cum gaudio, i secondi. Esempio calzante e ulteriore di come questa città non sia mai una comunità, nella gioia o nel dolore. Ma si può andare avanti un anno così?
Torniamo al personaggio. Delio Rossi è un ottimo allenatore e un galantuomo. Un professionista che ha svolto il suo compito in punta di piedi, lasciando umanissimi giacimenti d’oro. Tifare per lui, non per affetto, ma per rancore, sarebbe uno scempio prima di tutto alla sua signorilità. Un’azione da non-tifosi. Che poi sono tanti i non-tifosi, quelli che afferrano la bandiera per finta, per sollazzo di popolo, perché conviene così. Non sarà meno peggio, forse, uno scellerato romanista alla luce del sole, col torto di tenere per colori diversi – lungo la strada di percorsi emotivi inspiegabili – e l’ambizione di amare Palermo comunque, per il suo pallone e per il suo cuore?