"Volevano i soldi del Camposanto" | I boss e la rapina minuto per minuto - Live Sicilia

“Volevano i soldi del Camposanto” | I boss e la rapina minuto per minuto

Gli arrestati del blitz di ieri

Il blitz della Squadra mobile di ieri ricostruisce l'assalto ai danni di un'agenzia di poste private. Dalla programmazione all'arresto: tutte le fasi raccontate dalle microspie.

MAFIA - IL BLITZ STIRPE
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PALERMO – “Ci sono altre cose peggiori… meglio questo che… morto”. Giuseppe Galati provò a consolare il fratello di Eugenio D’Alleo, appena arrestato dalla polizia. D’Alleo, il 20 dicembre del 2012, fu bloccato assieme a Salvatore Porretto fuori dall’agenzia la “Nuova Posta” di corso Camillo Finocchiaro Aprile. Aveano ancora il bottino tra le mani.

Il blitz della Squadra mobile di ieri ci dice che si trattò una rapina “benedetta” da Cosa nostra. Il colpo da 17.490 euro viene contestato ora anche a Giuseppe Galati e Antonino Palumbo, considerati uomini del boss di Santa Maria del Gesù, Salvatore Profeta. Ed ancora a Giuseppe Lucera e Domenico Abbonato a cui ieri il gip ha applicato l’obbligo di dimora a Palermo.

Le microspie raccontano la rapina in diretta. Dal progetto fino all’arresto degli esecutori materiali, già condannati per tentata rapina. “Tentata” perché dalle indagini è emerso, e lo scopriamo solo adesso, che i poliziotti erano appostati in corso Finocchiaro Aprile, pronti a recuperare il bottino.

Il primo segnale dell’organizzazione viene captato il 13 dicembre. Galati chiede a Palumbo: “L’hai visto il bancoposta?… in corso Finocchiaro dov’è l’ente Camposanto”. Il riferimento è  preciso: l’agenzia di poste private si trova a poche decine di metri dalla sede della fondazione “Camposanto di Santo Spirito” che gestisce il cimitero di Sant’Orsola. I banditi sanno che è alla Nuova Posta che vengono versati i soldi della vendita dei loculi. Forse è Lucera ad avere fornito la dritta, visto che lavora per un’agenzia di pompe funebri. E D’Alleo conferma: “… fanno i versamenti dei morti”.

Sette giorni prima del colpo vengono messi a punto i dettagli operativi. “Abbiamo le scarpe da tennis… la barba lunga…. il cappellino… – spiega ancora D’Alleo che è nipote di Galati – tanto ci dobbiamo andare noi con la testa abbassata… possiamo riprendere gli zigomi… ci va un cristiano e suona… appena apre la porta spingo ed entro… e già sono là dentro”. Sono in possesso delle informazioni giuste. Sanno ad esempio, lo dice Palumbo, che i soldi sono “nel cassetto”. Conclusa la riunione, Galati serra i ranghi: “… chiunque viene… non parlate a nessuno… tanto sono cose di qua…”. Cioè sotto l’egida, dicono i pubblici ministeri, della cosca di San Maria del Gesù.

Il 20 dicembre Galati, Palumbo, Lucera e Abbonato fanno una ricognizione dei luoghi della rapina. E capiscono che è meglio fare un passo indietro. In una triangolazione di telefonate parlano di “… quelli con la jeep… “, di “due che non mi piacciono” e sperano “che i picciotti li hanno visti a questi nella strada”. Ed invece non si sono accorti della presenza delle forze dell’ordine. D’Alleo e Porretto vengono arrestati all’uscita dell’agenzia.

Poche ore dopo i parenti di D’Alleo incontrano Galati, che si rammarica: “… avevamo mandato a dirgli di non andarci che c’è una Jeep… levate mano… io a tuo fratello se lo avessi conosciuto prima… gli dicevo lascia tutti in tredici, tu devi essere intanto preciso… l’avrei formato… perché uno che non è preciso perde tutte cose”. Quel giorno di dicembre Eugenio D’Alleo perse la libertà.

 


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