Doveva ridurle a 5, sono ancora 16 | Crocetta e il flop partecipate - Live Sicilia

Doveva ridurle a 5, sono ancora 16 | Crocetta e il flop partecipate

Nonostante gli annunci sono quasi tutte lì. Quanto costano le spa regionali e a quante persone danno lavoro. Ombre e futuro delle aziende.

PALERMO – “Accorpiamo le partecipate in appena cinque maxi società. Così risparmieremo per gli affitti, per la gestione. Abbiamo personale che non fa nulla in quelle aziende”. Le parole sono di Rosario Crocetta. Era il 5 marzo 2013. E quelle buone intenzioni erano contenute in quello che il governatore denominerà il “pacchetto Tsunami”. Alla fine, lo Tsunami si trasformerà in una brezzolina. Altro che cinque: le società partecipate, quasi cinque anni dopo, sono ancora sedici.

Sedici. Per la precisione tredici direttamente partecipate e tre a “partecipazione indiretta”, ossia “partecipate di partecipate”. Insomma, il governatore è rimasto assai distante dal suo obiettivo sbandierato a inizio legislatura. Ma c’è di più. Quelle società, in molti casi, non funzionano o funzionano male. Accumulano perdite milionarie spesso ripianate dai siciliani in occasione delle Finanziarie, continuano a spendere per consigli di amministrazione in molti casi riempiti da fedelissimi del presidente.

Siamo più o meno sempre allo stesso punto, insomma. Se si esclude qualche piccola società chiusa in questi anni, qualcun’altra che si è chiusa da sé perché fallita (è il caso di Sviluppo Italia) o perché per legge è “scaduta” la partecipazione regionale (il caso di Italkali) o perché le quote sono state vendute (il caso del Distretto nanotecnologico a Ismett) le società “mangiasoldi” come furono dipinte dal presidente, sono praticamente tutte lì. Raccolte nel documento di revisione delle società partecipate che troverà spazio sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana nei prossimi giorni.

Un esercito di lavoratori

Sono tredici, come detto, quelle che mantengono una partecipazione diretta della Regione. Quanti sono i dipendenti delle società partecipate? Il numero che emerge dal documento ufficiale è enorme: 7.214 persone. Alle quali vanno aggiunte quelle delle partecipate indirette: quasi 400. Quanto costano questi lavoratori? La cifra, stando ai giudizi di parifica della Corte dei conti degli ultimi anni, non si è praticamente mai ridotta, se non per cifre marginali. Dagli annunci di Crocetta a oggi, la spesa complessiva è stata di molto superiore al miliardo di euro: 266 milioni l’anno. A questi vanno aggiunti ovviamente i costi per gli organi di amministrazione, in qualche caso ridotti a un amministratore unico, in altri, anche in questi giorni, ecco rinascere i consigli di amministrazione da tre o cinque poltrone.

Le maxi-società

Dovevano essere ridotte a cinque maxi-società, le partecipate. E in realtà, esiste, tra le diciotto, un gruppetto ristretto di aziende che assorbe la maggior parte dei dipendenti e dei costi. Quattro, per l’esattezza, raccolgono quasi il 90 per cento dei lavoratori. Si tratta della Seus, azienda che gestisce il servizio del 118 e che dà lavoro a 3.244 persone, per un costo annuo di 103 milioni di euro. I costi per gli amministratori invece ammontano a 64.400 euro l’anno: a capo dell’azienda c’è un fedelissimo di Crocetta, il riberese Gaetano Montalbano, storico collaboratore del governatore e già membro del suo ufficio di gabinetto.

Altra maxi-azienda è la Servizi ausiliari Sicilia, di cui la Regione possiede l’82,72 per cento delle quote e che è popolata da 1948 lavoratori, per un costo annuo di 61 milioni di euro circa. Anche qui, Crocetta ha piazzato una persona a lui molto vicina: Sergio Tufano, amministratore della Sas, è anche il commercialista del presidente (è stato lui a lavorare all’ultima dichiarazione dei redditi di Crocetta, giusto per fare un esempio): il cda della società, stando al report della Regione, costa ogni anno 80 mila euro. Ma sull’azienda ecco addensarsi delle nubi. Sono quelle spinte dal cosiddetto “decreto Madia” che dispone la dismissione delle quote di quelle aziende che svolgono servizi analoghi ad altre società regionali fallite. Ed è la stessa Regione ha segnalare nel documento la “potenziale applicabilità” di quella norma nazionale, a causa dell’intervenuto fallimento di Multiservizi, azienda confluita in Sas. Insomma, se verrà applicata quella norma, la Regione dovrà vendere le proprie quote di Sas, privatizzare la società che a quel punto dovrà operare sul mercato. In quel caso la dotazione organica rischia di essere bruscamente rivista.

Anche a capo di Ast c’è un fedelissimo di Crocetta, animatore del Megafono: il messinese Massimo Finocchiaro. L’azienda dà lavoro a 883 persone e, solo per i lavoratori, spende 40 milioni di euro l’anno. Ma la società non è in splendida forma: la Regione parla infatti di “grave squilibrio strutturale fra costi e ricavi” e accenna all’eventualità che anche Ast debba “prepararsi a competere sul mercato del trasporto pubblico locale”. Tra un anno, infatti, bisognerà fare le nuove gare per gli affidamenti. E anche Ast dovrà confrontarsi con i “costi” di una gestione privata.

Infine, ecco Riscossione Sicilia, società investita negli ultimi anni da numerose polemiche e oggi in una specie di coas amministrativo dopo le dimissioni, poi ritirate, dell’amministratore unico Antonio Fiumefreddo e dopo l’individuazione, da parte della Regione, dei componenti del nuovo cda, una nomina non ancora però effettiva. Al di là di queste vicende, il report descrive una società non certo in salute: dal 2011 al 2015 infatti ha sempre fatto registrare una perdita oscillante tra gli 1,8 milioni del 2012 e i 14,5 milioni del 2014. Non sono presenti al momento i dati degli anni successivi al 2015 che, stando ad alcune dichiarazioni pubbliche, sarebbero in miglioramento. Incombe sulla società, però, la norma approvata dall’Ars, e non impugnata, che dispone la liquidazione e un eventuale accordo con lo Stato per il trasferimento di funzioni e personale: sono 698 i dipendenti col fiato sospeso e che costano ogni anno quasi 37 milioni di euro.

Le altre

Insomma, buona parte di costi e lavoratori sono in quelle aziende. Ma il progetto di ridurre solo a cinque, le società partecipate, come detto, è naufragato. Oltre a quelle, eccone altre nove direttamente partecipate dalla Regione. Tra queste, “Sicilia digitale spa”. È questo il nuovo nome di Sicilia e-servizi. Anche qui Crocetta ha scelto da anni un uomo vicino a lui come Antonio Ingroia: l’azienda spende 3,3 milioni l’anno per dare lavoro a 88 persone. Proprio l’assunzione di questi lavoratori, ex dipendenti del socio privato, è oggetto di un procedimento contabile che coinvolge, tra gli altri, lo stesso governatore e l’ex pm: il danno all’erario contestato è di oltre un milione di euro. Al di là di questo fatto, nei numeri spicca il progressivo calo del fatturato dell’azienda: dai 29 milioni dlel 2013 ai quasi 12 milioni del 2015.

Per Airgest, l’azienda che gestisce l’aeroporto di Trapani e della quale la Regione possiede quasi due terzi delle quote, ecco l’idea, messa nero su bianco nel documento: la possibile fusione con Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo. Intanto, l’azienda dà lavoro a 77 persone, per un costo di 4,6 milioni di euro. Tra le partecipate, poi, ecco Irfis Sicilia dove lavorano 55 dipendenti che costano 4,6 milioni di euro l’anno. A guidarla è l’avvocato Alessandro Dagnino, mentre nel cda ecco un’altra fedelissima di Crocetta: il Segretario generale Patrizia Monterosso. A completare il quadro delle partecipate “dirette”, Siciliacque (la Regione possiede il 25 per cento delle quote) nella quale lavorano 186 persone per un costo di 10 milioni di euro l’anno, la Società interporti spa (la Regione possiede il 34 per cento, dà lavoro a 13 persone che costano 700 mila euro l’anno), i Mercati Agroalimentari Sicilia (quasi interamente regionale, dà lavoro a 10 persone per un costo di mezzo milione annuo che si aggiunge però ai 136 mila euro destinato agli amministratori), il Parco Scientifico e tecnologico che costa 600 mila euro per i 9 dipendenti. Infine, ecco due società di cui la Regione possiede delle quote marginali. Si tratta del Distretto tecnologico trasporti navali e commerciali: lì il paradosso di avere nove amministratori che guidano due soli dipendenti. Il costo è identico per i primi e per i secondi (106 mila euro l’anno). Per questa società sono partite le operazioni di dismissione delle quote, così come per il Consorzio di ricerca per l’innovazione tecnologica: qui gli amministratori sono cinque. I dipendenti? Uno solo.

La nota di Irfis

“In relazione ai dati relativi all’Irfis-FinSicilia, pubblicati in data odierna, desidero evidenziare che a fronte del costo del personale, pari, nel 2016, a euro 4,5 milioni, la società ha prodotto, nello stesso anno, un margine d’intermediazione di euro 8,8 milioni e un utile d’esercizio di euro 1,2 milioni, erogando prestiti alle imprese siciliane per euro 44,3 milioni”. Lo dichiara il presidente di Irfis, Alessandro Dagnino.

 


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