PALERMO – Roma, Napoli, Bolzano, Reggio Calabria e infine Palermo. Ogni qualvolta in giro per l’Italia si è indagato su grossi traffici di droga i magistrati si sono imbattuti in Alessandro Bono.
Dall’inchiesta dei finanzieri del Goa della Tributaria e dei poliziotti della Mobile è emerso che a lui si rivolgevano tanti palermitani, certi che fosse l’uomo giusto per comprare grosse partite di cocaina. Eppure, leggendo i brogliacci investigativi, sembrerebbe che di Bono non si fossero accorti i pezzi grossi della mafia palermitana che con la droga lavora da sempre.
Chi è veramente il trentottenne di Carini? Nel 2010 vendeva ecstasy importandola dalla Germania e sette anni più tardi si scopre che trattava direttamente con i narcos colombiani.
Come tutti gli altri 17 arrestati del blitz dei giorni scorsi si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip Marco Gaeta.
Scavando nel suo passato c’è una traccia. Era amico, se ne andavano spesso in giro assieme, di Francesco Giambanco, assassinato nel 1999 a Carini. Un omicidio contestato ad Antonino Pipitone, Gaspare Pulizzi, Giovanni Cataldo (deceduto), e Freddy Gallina (su cui pende una richiesta di estradizione dagli Stati Uniti).
Giambanco fu ucciso a colpi di bastone. Nascosero il cadavere nel bagagliaio di una macchina data alle fiamme. L’ordine di ucciderlo proveniva dal capo della famiglia mafiosa di Carini, Giovan Battista Pipitone, e dal fratello Vincenzo, che ritenevano Giambanco responsabile della scomparsa di Federico Davì e di alcuni danneggiamenti.
Erano gli anni in cui i Passalacqua di Carini, a cui Bono veniva considerato vicino, dovettero sottomettersi ai Pipitone. Ad un certo punto anche Bono sarebbe stato considerato un soggetto a rischio. I Lo Piccolo avevano dato l’ordine di eliminare nemici e teste calde. Oltre a Giambanco furono uccisi Antonino Failla, Giuseppe Mazzamuto Lino Spatola, Felice Orlando e Giampiero Tocco. Bono si sarebbe defilato per un po’.
Almeno così sembrava, salvo poi ritrovarlo alla testa, così sostengono i pm Salvatore De Luca e Maurizio Agnello, di una banda di trafficanti di cocaina. Dalla rete di intercettazioni, però, non è saltato fuori alcun contatto che farebbe pensare a coperture mafiose, come se i clan si fossero disinteressati dei suoi traffici. Una storia che non convince.
In tanti sapevano dei suoi agganci colombiani. A cominciare dai fratelli Giuseppe e Salvatore Spatola che hanno scontato lunghe condanne in America per droga, quando a gestire i traffici erano ancora i clan mafiosi. Giuseppe è deceduto alcuni mesi fa, mentre Salvatore, 70 anni, è stato arrestato nel blitz. Non per forza deve essere una storia di mafia, ma se c’è di mezzo la droga è molto probabile che lo sia.