Un murale per ricordare il boss - Live Sicilia

Un murale per ricordare il boss

Il murale, realizzato su un muro di una piazzetta adiacente l’abitazione di Sebastiano Fichera è stato fotografato dagli inquirenti dopo l’omicidio, avvenuto nel 2008, e acquisito agli atti del processo.

Il murale scritto in memoria di Sebastiano Fichera

CATANIA – “Anche se l’invidia e il tradimento ti hanno ucciso sei sempre qui con noi”. Poche e mirate parole scritte su un muro di Catania per ricordare a tutti i motivi che avrebbero portato all’eliminazione per mano mafiosa di Sebastiano “Ianuzzu” Fichera. L’uomo, già pregiudicato e in passato coinvolto nell’operazione “Idra”, venne ucciso nell’agosto 2008 in una via del popolare quartiere catanese di “Nesima”. Un’esecuzione in piena regola, secondo gli investigatori, “commissionata” dai vertici del clan “Sciuto” per punire i fiorenti affari, legati alla droga, che la vittima aveva intrapreso da qualche tempo con la cosca dei “Cappello” e in particolare con alcuni esponenti di punta come il boss, poi diventato collaboratore, Gaetano D’Aquino. Il murale, realizzato su un muro di una piazzetta adiacente l’abitazione di Fichera è stato fotografato dagli inquirenti dopo l’omicidio e acquisito agli atti del processo stralcio scaturito dall’operazione “Revenge III”, che si celebra con il rito ordinario.

Sul banco degli imputati c’è Biagio Sciuto conosciuto con il soprannome di “il vecchio”, e ritenuto dagli investigatori come uno degli elementi di spicco dell’omonimo clan mafioso. Alla sbarra ci sono anche quattro collaboratori di giustizia: Gaetano D’Aquino, Gaetano Musumeci, Natale Cavallaro e Vincenzo Fiorentino oltre a Girolamo Ragonese accusato dell’omicidio di Raimondo Maugeri, ucciso il 3 luglio 2009.

Le intercettazioni. Al centro del processo, nell’ultima udienza, l’analisi da parte dei Pm Pasquale Pacifico e Lina Trovato, dell’ispettore Maimone, ascoltato per spiegare il lungo lavoro d’investigazione degli inquirenti. Centinaia di intercettazioni ambientali e telefoniche utili, secondo l’accusa, per scoprire mandanti ed esecutori dell’omicidio ma anche per capire le dinamiche dello scontro tra i clan Sciuto e quello dei Cappello. Nel lungo elenco, sono finite anche le voci di Agata Aurichella, vedova di Fichera, e della cognata della donna, Carmela Fichera. Presunte rivelazioni e ammissioni captate proprio sulla tomba della vittima. “Sono stati i suoi stessi compagni” si sfogò la vedova, e ancora “A Sebastiano se l’è fatto la sua squadra”. Frasi, che la stessa, ha detto di non ricordare, giustificandole, durante l’audizione a processo, come dirette conseguenze del suo stato d’animo, segnato dal lutto.

“Iniziammo – spiega l’ispettore – ad intercettare le voci al cimitero il 13 settembre 2008, poi istallammo una telecamera il 30 settembre riuscendo ad associare voci e volti. Emerse – continua – che Fichera andò con sicurezza a quell’appuntamento tanto da non essere armato”. A fare da tramite per attirarlo nella trappola, sostanzialmente tradendone la fiducia, fu un certo Mario, identificato successivamente dagli inquirenti come Mario Mauceri. L’uomo nel 2009 venne anch’egli assassinato nella località siracusana di Agnone Bagni. Freddato, mentre si trovava in compagnia di una donna, per vendicare, come ipotizzato, il tranello in cui aveva attirato Fichera. Nel maggio 2013 per questo omicidio sono stati arrestati Antonino Fichera, padre di Sebastiano, e Giuseppe Campisi, presunto appartenente al gruppo dei Cursoti milanesi.

“Le stesse donne – spiega l’ispettore in udienza – ebbero come a spiegare la dinamica dell’omicidio Fichera quando dissero riferendosi agli inquirenti “Se loro fossero andati la li avrebbero trovati””. Chiaro riferimento alla vicinanza tra la via Cairoli, luogo in cui si consumò l’omicidio, e la via Balilla, arteria in cui risiedeva Giacomo Spalletta, reggente del clan Sciuto, poi ucciso nel novembre 2008, ritenuto dall’accusa l’organizzatore dell’agguato insieme all’imputato Biagio Sciuto. Quaranta minuti dopo l’omicidio Spalletta, le telecamera immortalarono il boss Sebastiano Lo Giudice proprio sulla lapide di Fichera intento ad abbracciare e salutare la vedova , che chiese: “Se n’è andato?”. La riposta del boss, collezionista di ergastoli per svariati omicidi, però non riuscì ad essere comprensibile dalle microspie. Dopo qualche minuto tuttavia la donna insieme alla cognata si lasciò andare in un pianto liberatorio sulla lapide, affermando con soddisfazione “Ora c’è chi ti fa compagnia”.

 


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