Riconoscere i meccanismi interni che allontanano dalla felicità

Riconoscere i meccanismi interni che allontanano dalla felicità

Autosabotaggio: "Il tuo peggior nemico a volte sei proprio tu!"
IL PARERE DELLA PSICOLOGA
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5 min di lettura

L’autosabotaggio è quella dinamica che si verifica quando attraverso comportamenti, quasi sempre inconsapevoli, si ostacolano i propri stessi obiettivi o desideri. 

Si vuole una cosa, ma poi di fatto si opera in modo da non ottenerla o renderla irraggiungibile, compiendo azioni che ne impediscono la realizzazione.

È come se una parte di sé lavorasse in segreto “contro” ciò che razionalmente si desidera: il successo, la felicità, relazioni soddisfacenti, il benessere personale.

Un meccanismo “paradossale” dunque, per cui si agisce “a sfavore” del proprio stesso interesse, in realtà piú diffuso di quanto si pensi.

Ma cosa spinge ad autosabotarsi?

Alla base si trovano paure profonde e convinzioni radicate su sé stessi e sugli eventi di vita, spesso nate da esperienze passate: ambienti relazionali instabili, critici o iper-esigenti, vissuti soprattutto durante l’infanzia, e situazioni in cui si è stati valorizzati “solo a certe condizioni” possono generare tutta una serie di insicurezze che, da adulti, spingono a non esporsi, a partire da credenze del tipo: “non sono all’altezza”, “non me lo merito”, “se va bene poi finirà, meglio non illudersi”.

La mente si riempie cosí di pensieri negativi che portando a dubitare delle capacità di raggiungere le proprie aspirazioni, il pessimismo prende il sopravvento e si finisce per autoconvincersi che “non si è capaci” di fare certe cose e/o di affrontare determinate situazioni.

-Questi meccanismi evidenziano il forte legame delle dinamiche di autosabotaggio con i modelli di attaccamento, i livelli di autostima e l’immagine di sè

Autosabotaggio affettivo come meccanismo di difesa

In relazione alle esperienze di attaccamento, se in passato non si è stati adeguatamente accuditi da un punto di vista affettivo dalle proprie figure di riferimento (prime fra tutti, i genitori), si potrebbe ad esempio -sempre in maniera inconscia- sabotare le proprie relazioni future, proprio per evitare ulteriori ferite emotive. Ecco che in questo senso l’autosabotaggio diventa una forma di “autodifesa”.

Chi non presenta un attaccamento sicuro non riesce infatti a fidarsi dell’altro, e conseguentemente è mosso dalla necessità di mettere in atto “strategie di autoprotezione” che mirano ad evitare uno stretto coinvolgimento ed alti livelli di intimità col partner, in modo da poter mantenere sempre il controllo sulla situazione sentimentale.

Strategie difensive autosabotanti

Questo, in maniera concreta, si manifesta attraverso comportamenti che di fatto minano la salute della relazione e che sono, ad esempio, una gelosia eccessiva, la mancanza di fiducia nell’altro, l’evitamento di ogni discussione facendo credere che tutto vada bene, un‘enfasi sui difetti del partner piuttosto che sui suoi comportamenti positivi, cosí come una maggiore propensione a percepire gli aspetti piú negativi della relazione.

A causa di questa visione sfiduciata ed incerta delle relazioni e, per quanto si pensi di stare facendo tutto il possibile per cercare di mantenerle, il fallimento rimane purtroppo e comunque un risultato atteso; ciò, conseguentemente, porta a garantirsi una vittoria se la relazione sopravvive nonostante le strategie difensive, ma a una “conferma” riguardo alle convinzioni e alle credenze negative sulle relazioni se la relazione fallisce.

Autostima e credenze su di sé

Alla base del meccanismo dell’autosabotaggio vi sono soprattutto credenze relative all’immagine personale. 

Coloro che hanno interiorizzato una “rappresentazione di sé basata sullo scarso valore”, nonostante il grande impegno che mettono nel cercare di raggiungere i propri obiettivi, tendono ad attuare certe strategie di fatto disfunzionali, spinti dalla convinzione di “non meritare” risultati positivi.

Si è di fronte, dunque, ad una scarsa autostima e a considerazioni del sé negative che portano a sottovalutare costantemente le proprie capacità e a manifestare un atteggiamento pessimista riguardo al proprio futuro: è in questo sentirsi inadeguati che, paradossalmente, si finisce in prima persona per mettere ostacoli lungo il proprio percorso.

Come si interiorizza il proprio valore

Anche in questo caso le convinzioni relative a sé stessi e alle proprie capacità sono apprese in età infantile e dipendono dalle prime esperienze relazionali.

Nei primi anni di vita, infatti, non si hanno ancora gli strumenti per valutare oggettivamente sé stessi; per questo ci si affida completamente allo sguardo degli altri piú significativi, ed è attraverso questo “rispecchiamento” che si costruisce la propria identitá.

Se un bambino viene riconosciuto, ascoltato, confortato e valorizzato interiorizzerà l’idea di “valere”, “meritare amore”, “potersi fidare degli altri”, e svilupperà fiducia nelle proprie capacità.

Viceversa, se le risposte ambientali sono critiche, imprevedibili o svalutanti si svilupperanno convinzioni del tipo “non sono abbastanza”, “non valgo”, “devo guadagnarmi l’amore”, e si tenderá da adulti a muoversi secondo un’idea di sé basata sullo scarso valore, credono di non meritare il successo o la felicità. 

Riconoscere e superare i meccanismi autosabotanti

La buona notizia è che, per quanto radicate, queste credenze non sono verità assolute ma “costruzioni apprese”, e possono essere riviste e trasformate.

L’autosabotaggio infatti non è una condanna, ma un meccanismo di difesa da comprendere per superare.

Le “condotte di evitamento”, messe di fatto in atto, nonostante non si creda di essere colpevoli del mancato raggiungimento dei propri obiettivi, portano ad autoescludere esperienze che potrebbero ribaltare le proprie visioni, restando intrappolati in “meccanismi disfunzionali” che tengono lontani da eventuali esiti alternativi.

Solo a partire dall’autoriflessione e dal raggiungimento di una consapevolezza riguardo certe dinamiche, sarà possibile riconoscerne l'”effetto paradosso”.

Grazie all’aiuto di professionisti e ad una terapia di tipo psicologico si potranno esplorare le radici dei meccanismi di autosabotaggio, e si lavorerá per modificare certi modelli di pensiero, smontando le rappresentazioni mentali basate sullo scarso valore personale e ristrutturando, di conseguenze, le proprie aspettative circa le possibilità di successo.

Solo così si potrá smettere di essere l’ostacolo principale lungo il proprio percorso esperienziale e diventare, finalmente, l’alleato più prezioso di sè stessi… 

[La dott.ssa Pamela Cantarella è una Psicologa Clinica iscritta all’Ordine Regione Sicilia (n.11259-A), libera professionista e specializzanda in Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale]


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