PALERMO – La legge che doveva mandarli in pensione è di sei anni fa. Non sono bastati. Perché gli Ato rifiuti, in liquidazione, commissariati, in agonia, sempre là stanno. E la loro era non si chiude, malgrado ormai abbiano visto la luce le nuove Ssr, che mettono insieme i comuni e che dovrebbero prendere il posto di quella non fortunata esperienza. Che non è chiusa. E che mai si potrà chiudere finché non si risolverà il nodo di tutti i nodi, quello relativo al personale. Un piccolo esercito di quasi tremila persone, è difficile persino contarli, che ancora restano a carico dei vecchi Ambiti territoriali. Una situazione che produce aggravi di spesa e soprattutto un caos gestionale dal quale non si riesce a venire fuori. Caos che tiene ancora in vita, con tutti i costi che ciò comporta, questi fallimentari carrozzoni dei rifiuti che già sei anni fa si decise di chiudere. Una babele che ha spinto l’assessore regionale al ramo, Vania Contrafatto, a emanare un paio di atti di indirizzo alle Srr e ad annunciare l’invio degli atti in procura se la situazione non si sbloccherà in tempi brevi.
Nel disastroso sistema siciliano dei rifiuti, il peggio che si possa trovare in Italia ha ribadito fino a qualche giorno fa la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, anche questo è un punto dolente. E non da poco. La legge regionale 9 del 2010 che riformò il sistema dei rifiuti stabiliva la fine degli Ato. Le nuove Srr, che stanno vedendo la luce con un certo ritardo, non si occupano però della gestione del servizio di raccolta, devono invece bandire le gare per affidarlo. A quel punto, il personale degli Ato impegnato nella raccolta dovrebbe transitare attraverso le Srr a chi si aggiudica le gare (per piccoli contingenti qua e là questo è già avvenuto) – o alle società partecipate pubbliche che nasceranno per gestire la raccolta in house -, mentre gli amministrativi potrebbero entrare nelle stesse Srr. Tutto ciò ancora tarda a realizzarsi, salve rare eccezioni, come la Srr Kalat che ha messo dentro personale del vecchio Ato Ct5.
Gli Ato, in liquidazione da anni, continuano quindi ad avere a proprio carico i lavoratori. E come sintetizza il direttore generale del dipartimento Rifiuti Maurizio Pirillo, “il contatore dei costi degli Ato continua a girare”. Costi su costi, il cui conto viene poi presentato ai Comuni, che hanno già una montagna di debiti verso gli Ato. A sei anni dalla legge di riforma, insomma, il cane continua a mordersi la coda. E il conto lo pagano i cittadini, non solo in termini di disservizi ma anche dal punto di vista dei costi da sostenere. E da finanziare con le tasse sui rifiuti. Per quelli che le pagano, visto che i Comuni su questo fronte hanno percentuali molto basse di effettivo incasso dei tributi dovuti.
Una bomba a orologeria che va avanti da un pezzo quella del personale degli Ato, che già da dicembre 2012 non avrebbero dovuto più esistere, e che negli anni divennero straordinarie occasione per imbarcate clientelari. Al momento la patata bollente è passata alle Srr, le società tra Comuni che devono governare il sistema. Quando mai questo entrerà a regime. Gran parte delle Srr hanno approvato i piani d’ambito, che avrebbero dovuto sbloccare il passaggio del personale, ma si procede ancora a rilento. E uno dei motivi è che l’esercito da prendere in carico è troppo numeroso. Il dilemma è prendere tutti in blocco, il che comporta un problema di costi visto che negli anni gli Ato hanno assunto in alcuni casi una quantità smisurata di personale (solo in provincia di Enna più di 400 persone), o limitare i costi lasciando però gente a casa. E se il personale operativo, quello della raccolta, sarà assorbito dalle società che vinceranno le gare, gli amministrativi, tanti, probabilmente troppi, dovrebbero finire alle Srr. Nel frattempo, però, si creano duplicazioni di costi e soprattutto un grande caos in cui ogni comune sostanzialmente fa storia a sé.
“Ho fatto già due atti di indirizzo in cui ho ricordato alle Srr che le dotazioni organiche sono state approvate e quindi bisogna far transitare il personale – racconta l’assessore Contrafatto -. Qualche Srr ora dice che non si può far transitare personale da società private a soggetti di diritto pubblico perché ci si violerebbe il principio costituzionale del concorso pubblico. Ma quel passaggio lo prevede la legge regionale che all’epoca non fu impugnata”. In un sistema che affida la governance aglienti locali, che cosa resta da fare alla Regione? “Ho detto solo pochi giorni fa in una riunione che trasmetterò gli atti a ogni procura competente se non si dà seguito al passaggio del personale, visto che ci sono già 14 piante organiche approvate nelle Srr”, dice Contrafatto.
Ma i sindaci rispediscono le critiche al mittente e invocano una revisione dell’intero sistema dei rifiuti: “I sindaci non hanno gli strumenti con i loro problemi finanziari per affrontare questa sfida – dice Paolo Amenta, vicepresidente dell’Anci Sicilia -. Il sistema semplicemente non si regge: i cittadini non pagano la tassa, i comuni non possono adeguare le tariffe perché non hanno i soldi per fare i bilanci, le piattaforme per conferire l’umido non ci sono (come raccontato nella precedente puntata della nostra inchiesta, ndr). Qua il problema non è individuare il singolo colpevole, bisogna risolvere il problema del sistema. Non basta solo dire porto tutte le carte in procura”.
La Presidenza della Regione sta cercando di fare il punto attraverso l’Ufficio speciale per la differenziata, che ha incontrato in questi mesi gli enti locali in giro per la Sicilia. “La verità è che c’è un sistema assolutamente confuso – dice Salvo Cocina, a capo dell’ufficio -. Il perosnale pubblico che lavora nei rifiuti ammonta a quasi seimila perosne, visto che ai dipendenti degli Ato dobbiamo aggiungere quelli di Rap e Messina Ambiente. Qua e là ci sono numeri davvero incredibili, frutto di scelte del passato. Che stanno alla base dello stallo di oggi. Stiamo cercando di lavorare insieme ai Comuni per entrare con le mani dentro i problemi”.
– Le precedenti puntate: 1) La giungla degli affidamenti dei servizi di raccolta; 2) Mancano gli impianti e la differenziata va in discarica