PALERMO – Controllare che nell’affare rifiuti non si annidi Cosa nostra. E farlo capillarmente: non solo chiedendo le informative antimafia ai privati che gestiscono un servizio, ma estendendo i controlli anche agli Ato, cioè alle società che dipendono dai Comuni, e persino alle aziende in amministrazione giudiziaria. È l’idea che circola al dipartimento regionale dell’Acqua e dei rifiuti, che ha l’ultima parola sulla concessione dei via libera alle aziende che si occupano di raccolta e stoccaggio dei rifiuti: “Stiamo valutando la fattibilità – spiega Antonio Patella, il capo del servizio che si occupa delle autorizzazioni – e al momento è solo un’idea. Ma, appunto, ci stiamo interrogando”.
Finora le informative vengono richieste solo per i privati. E al momento la fase è di transizione: dall’anno scorso, infatti, la gestione delle pratiche è passata dall’assessorato al Territorio a quello ai Rifiuti. “In questa fase – prosegue Patella – chiediamo l’informativa ai privati che chiedono il rinnovo o una nuova autorizzazione”. Effetto di un protocollo di legalità firmato l’anno scorso, ma che appunto al momento non si estende agli Ato, oggi ribattezzati “Srr”: “In quel caso – chiarisce Marco Lupo, il numero uno del dipartimento Rifiuti – i controlli competono ai Comuni, che essendo soci hanno tutti gli strumenti, e il dovere, di vigilare”.
Le inchieste giudiziarie sulle società che si occupano di rifiuti, del resto, negli anni non sono mancate. Dalla vicenda termovalorizzatori ai presunti interessi sulla discarica di Bellolampo, fino ad arrivare all’indagine della Dda di Catania che all’inizio dell’anno ha visto il rinvio a giudiziodi 18 persone per le presunte infiltrazioni criminali all’ombra dell’Etna, le cronache degli ultimi anni sono piene di vicende che hanno anche lambito le aziende a controllo pubblico. Tanto più che l’obbligo di richiedere le informative antimafia è stato messo nero su bianco due volte: una prima il 23 maggio 2011, quando il Protocollo di legalità della Regione impose all’amministrazione di “acquisire sempre le informative antimafia”, e una seconda l’8 gennaio 2013, quando – con la prima decisione della neonata giunta Crocetta – l’obbligo fu esteso anche alle società partecipate della Regione.
Qualcosa, comunque, ai soggetti con capitale pubblico viene chiesto già. “Alle aziende cui non viene richiesta la certificazione antimafia – afferma ancora Patella – viene fatto firmare un Patto di integrità. È un patto con il quale l’azienda si impegna con l’amministrazione regionale a richiedere a sua volta l’informativa ai soggetti con i quali ha a che fare”. Fra qualche settimana, però, potrebbe cambiare tutto. Anche se al momento è solo un’idea.