PALERMO – Rifarebbe tutto. Anche e soprattutto le cose su cui si sono addensate pesanti ombre. In passato come nel presente. Fatti su cui sono stati anche celebrati processi terminati con l’assoluzione. Dalla presunta mancata cattura di Nitto Santapaola alla certa ma non dolosa, così ha stabilito una sentenza definitiva, perquisizione del covo di Totò Riina.
Davanti alla corte d’appello che sta processando il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu (assolti in primo grado) depone Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo che arrestò Riina appena uscito dalla villa di via Bernini. Dietro un paravento che ne cela il volto, De Caprio, oggi in servizio al Nucleo dei carabinieri di Roma che si occupa di difesa dell’ambiente, inizia a parlare dei fatti di Terme Vigliatore. Si tratta di un episodio entrato a far parte del processo di secondo grado, oltre alla mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso, e che viene considerato un tassello della presunta trattativa Stato-mafia.
Il 6 aprile 1993 – allora Mori è vice comandante del Ros dei carabinieri – Sergio De Caprio incontra a Messina il capitano Giuseppe De Donno. Sono in macchina quando inizia un inseguimento con tanto di colpi di pistola. Secondo l’accusa, la sparatoria sarebbe stata finalizzata a mettere in allarme il boss latitante Nitto Santapaola, che si nascondeva a Terme Vigliatore, per farlo fuggire. De Caprio, rispondendo alle domande del legale di Mori, l’avvocato Basilio Milio, racconta la sua versione che fa a pugni con quella della Procura generale: “Incontro De Donno per fare il punto su alcune indagini. Lungo strada Litoranea per ritornare a Palermo, un carabiniere segnalò la presenza su un macchina di una persona che somigliava al latitante Pietro Aglieri”. La situazione precipita, racconta De Caprio:“Questa macchina sperona quella su cui viaggiava il carabiniere che l’aveva fermata. Inizia un inseguimento. Vengono esplosi colpi di pistola… alla fine non era la persona che il carabiniere aveva creduto di riconoscere”.
Un episodio casuale che avrebbe provocato una normale reazione dei carabinieri. Nessuna voglia di fare scappare Santapaola. E a questo punto che il procuratore Luigi Patronaggio riprende la storia di via Bernini per fare emergere la differenza tra la tattica “attendista” che portò alla mancata perquisizione e quella “interventista” nel caso di Terme Vigliatore. De Caprio torna, dunque, su fatti che gli sono costati, a lui come a Mori, un processo conclusosi con l’assoluzione: “Hanno fatto anche un processo su questo – ricorda infatti De Caprio -. Io ritenni che seguire i fratelli Sansone (sono i costruttori proprietari della villa di via Bernini ndr), allora sconosciuti (piuttosto che perquisire il covo e rendere evidente l’indagine ndr), potesse darci la possibilità di disarticolare Cosa nostra. La mia fu una proposta, non una minaccia. Io credevo allora in questo e ci credo ancora. Mi dissero va bene, io allora non sapevo dove si trovasse la casa. La responsabilità della perquisizione none era mia. Io feci una proposta e fu accolta”.
Poi, si torna a parlare di Terme Vigliatore. Il procuratore generale Luigi Patronaggio chiede a De Caprio di spiegare perché mai scelse di rientrare a Palermo percorrendo la litoranea e non la più comoda e veloce autostrada. “A Capaci era saltata l’autostrada in aria – spiega De Caprio – c’erano anche persone in giro, gentaglia come Brusca, Bagarella, visto quello che era successo era più opportuno prendere l’autostrada”. “E perché vi allontanaste dalla litoranea finendo a Terme Vigliatore?”, chiede il presidente della Corte d’appello, Salvatore Di Vitale. Per via dell’inseguimento”, risponde De Caprio.