PALERMO – Volarono parole grosse. Addiopizzo, Confindustria, autorevoli rappresentanti della magistratura: la figura di Vincenzo Rizzacasa scatenò il tutti contro tutti.
L’assoluzione dell’architetto nel processo penale prima e ora la restituzione dei beni obbligano a riavvolgere il nastro della storia. Rizzacasa si è portato addosso il bollo infamante dell’imprenditore in combutta con i mafiosi. Ci sono voluti sei anni prima che riuscisse a dimostrare la sua innocenza contro le accuse dell’associazionismo antimafia, poi della Confindustria e, infine, della Procura di Palermo.
Nel giugno del 2009 Addiopizzo chiuse la porta in faccia a Rizzacasa, escludendo la sua impresa, la Aedilia Venusta, dalla lista degli imprenditori virtuosi. L’associazione aveva scoperto che nei cantieri dell’azienda lavorava un rappresentante degli Sbeglia, famiglia di costruttori nota alle cronache per i guai giudiziari. Rizzacasa lo aveva pure ammesso, sostenendo che la sua scelta era legata allo spirito religioso di dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato. Addiopizzo restituì persino una donazione dell’architetto che voleva istituire una borsa di studio da intitolare alla moglie defunta. Pochi mesi dopo, ecco l’espulsione da Confindustria in ossequio al codice etico.
Lo scandalo era ormai esploso anche e soprattutto perché Rizzacasa faceva parte dell’establishment della città. Tra i committenti della Aedilia Venusta c’era, infatti, il “Gruppo Venti”, l’iniziativa imprenditoriale voluta da Ettore Artioli e che vedeva impegnato il gotha dell’imprenditoria palermitana. Alcuni soci decisero di liquidare le proprie quote. Artioli tirò dritto e fece un passo indietro, mentre veniva rescisso il contratto che legava il Gruppo Venti all’Aedilia Venusta. Una decisione unilaterale che segnò l’apertura di un contenzioso al termine del quale ebbe ragione Rizzacasa che ottenne un risarcimento di un milione di euro. Il Gruppo Venti implose e i soci decisero di liquidarlo nel 2010.
All’iniziò la cronaca sembrò dare ragione a chi aveva messo al bando la figura di Rizzacasa visto che nel giugno del 2010 il suo nome era nella lista degli arrestati del blitz “mafia e appalti”, coordinato dall’allora procuratore aggiunto Roberto Scarpinato. In manette finì pure Francesco Lena, il patron dell’azienda “Abbazia Santa Anastasia” di Castelbuono. Anche lui è stato assolto definitivamente, ma si attende ancora la decisione sul suo patrimonio finito sotto sequestro. Erano i giorni in cui Scarpinato lanciava bordate contro Confindustria che, a suo dire, avrebbe dovuto rafforzare i controlli ed arginare le collusioni dei grandi imprenditori con Cosa nostra.
Sono stati anni in cui Rizzacasa ha urlato la propria innocenza. Lo ha fatto ricordando il suo impegno per la legalità. Come quando, già nel lontano 1984, da preside dell’istituto d’arte di Santo Stefano di Camastra, in provincia di Messina, organizzò un incontro per “sviluppare nei giovani una coscienza civile contro la criminalità organizzata”. Tra i presenti, anche il giudice Paolo Borsellino. Parole e buoni propositi, si potrebbe obiettare. Fatti, però, erano quelli successivi, segnati dalle denunce dell’imprenditore contro il racket. Fu lui a puntare il dito, ad esempio, contro Sandro Lo Piccolo, boss e figlio del capomafia Salvatore, condannato nei mesi scorsi per avere imposto pizzo per decine di migliaia di euro a Rizzacasa.
Le polemiche extra giudiziarie attorno al nome dell’architetto ebbero una coda fragorosa nel luglio del 2012. Leoluca Orlando, tornato a essere sindaco di Palermo, scelse Artioli, fedelissimo della prima ora, per la presidenza dell’Amat. Addiopizzo tuonò, ricordando il peccato originale di Artioli per la vicenda Aedilia Venusta. Era stato lui a presentare Rizzacasa all’associazione. Artioli incassò la fiducia di Orlando e rispose con una considerazione polemica su Addiopizzo: “Davvero si vuole far credere che mi sarebbe stata negata l’iscrizione all’Associazione per presunti contatti con ambienti dubbi e poi si sarebbe ammesso in associazione un imprenditore da me presentato? Sarebbe davvero paradossale che non si fosse ammesso Artioli perché ritenuto non affidabile mentre si riteneva affidabile qualcuno presentato dallo stesso”. Artioli avrebbe poi lasciato l’incarico per candidarsi, senza fortuna, nelle liste di Scelta Civica.
Botta e risposta, frasi al vetriolo. Tutto ruotava attorno alle presunte colpe di Rizzacasa. Presunte lo erano davvero. Per i più, però, non c’era bisogno di aspettare la condanna. La sentenza era già emessa.
Il resto è storia recente. Rizzacasa è stato assolto e gli sono stati restituiti i beni. Gli tocca ripartire dopo sei anni di processi, dentro e fuori i Palazzi di giustizia.