Rumori e mea culpa fuori scena | Il tramonto malinconico di Ingroia - Live Sicilia

Rumori e mea culpa fuori scena | Il tramonto malinconico di Ingroia

Era l'acclamatissimo magistrato di punta dell'antimafia palermitana. Si muoveva sotto i riflettori, al centro dell'attenzione di tutti. Oggi, l'ex pm Antonio Ingroia (nella foto) vive in un'altra dimensione, lontano dall'esposizione di un tempo; rilascia interviste ai giornali e confessa: "Quando cala il sipario hai da fare due conti con la vita”. Ma chissà se il sipario è calato davvero.

Forse era in crisi di astinenza. Astinenza da riflettori. Forse il posto nel sottogoverno di Rosario Crocetta non garantisce abbastanza visibilità ad Antonio Ingroia. E così l’ex pm di Palermo, oggi avvocato, ha ripreso il giro di interviste sulla stampa nazionale.

Qualche giorno fa su Libero ha lanciato l’intenzione, salvo poi frenare, di svelare in un romanzo il contenuto delle intercettazioni fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. Poi, dalle colonne de Il Fatto Quotidiano recita il mea culpa e a tratti sembra impegnato in una dura requisitoria contro la magistratura di cui ha fatto a lungo parte e da alto graduato per giunta. Ammette di avere capito, solo oggi che fa l’avvocato, “che l’eccesso di attenzione mediatica – riferito al processo sulla trattativa Stato-mafia – alla fine ti storpia la vita”. Aggiunge che “essere un personaggio aumenta l’autostima. Fa piacere è anche umano. Però poi, quando cala il sipario, hai da fare due conti con la vita”. “Oggi che sono avvocato noto quel che ieri non vedevo”, prosegue: e cioè che accanto a tanti magistrati per bene e operosi “sono germogliati troppi ideologi dell’opportunismo… a volte compartecipi di una notorietà e di un potere che produce per loro utili ingiustificati”. E conclude sostenendo che “si offrono scalpi all’opinione pubblica, vittime sacrificali in ragione di un’approssimazione colpevole, ingiustificabile. Ieri non vedevo, oggi sì”.
Gli è bastato indossare una toga diversa dalla precedente per accorgersi di quelle storture del sistema giustizia che persino gli avvocaticchi denunciano da tempo. A cominciare dalla spettacolarizzazione mediatica dei processi.

Il punto è che i riflettori piacciono, sia da magistrato che da avvocato, specie quando ci si accorge che una volta erano accesi e ora non lo sono più. Magistrato di punta dell’antimafia palermitana che processa boss e Stato assieme, un paio di mesi in Guatemala alla guida dell’unità investigativa della Commissione internazionale contro l’impunità, delle Nazioni Unite, la candidatura fallimentare con la sua “Rivoluzione civile”, il no al ritorno in magistratura nella defilatissima Procura di Aosta, la nomina nella società partecipata Sicilia e- Servizi e infine la scelta di fare l’avvocato: le tappe professionali di Ingroia hanno seguito un percorso sul quale appaiono appropriate le frasi in cui dice che “senza volerlo vieni trascinato a trasformarti in oggetto invece che resistere come soggetto, a rischiare di essere dominato dalla scena invece che dominarla”.

A proposito di scena, a dire il vero anche l’avvocato Ingroia ha cercato di conquistarsela. Due anni fa decise di presentarsi in aula a Palermo, al processo sulla Trattativa, come avvocato di parte civile dell’Associazione vittime della strage di via dei Georgofili. Si era, però, dimenticato che prima di fare il penalista era necessario giurare e che poi, per un paio d’anni, non avrebbe potuto esercitare la professione forense nello stesso distretto dove aveva fatto il pubblico ministero. Risultato: mandato revocato. Restano nella memoria le foto scattate nell’aula, sorridente, accanto ai magistrati di cui era stato fino a pochi mesi prima il coordinatore e il corsivo dal titolo “Se l’ex-pm rientra dalla finestra” con cui il quotidiano cattolico Avvenire stigmatizzò la decisione di Ingroia di partecipare nel “discusso processo di Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia”. Un dibattimento che, secondo il giornale della Cei, “continua a far parlare di sé, con una continua esposizione mediatica sensazionalistica che finisce per oscurare la dimensione processuale vera e propria”.

Neppure l’inizio della sua nuova carriera, a giuramento avvenuto, rimase lontana dai riflettori. Disse di non volere difendere mai mafiosi e corrotti, finendo per attirarsi la piccatissima nota dell’Unione delle Camere penali italiane: “Antonio Ingroia se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”. Da quella polemica fra neo colleghi sono ormai trascorsi due anni. Oggi Ingroia spiega al Fatto che “la mia è una seconda vita nella quale metto a frutto gli errori della prima… quando cala il sipario hai da fare due conti con la vita”. Visto il grande ritorno alle interviste è lecito dubitare che abbia davvero deciso di fare calare il sipario.


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