E arriva, stappata dalla rabbia, la mezzanotte e ventidue minuti, l’ora degli spintoni che vorrebbero tanto essere sganassoni, ma si trattengono. Lo spettacolo fino a quel momento era stato divertente o pietoso, dipende dallo sguardo. E l’epilogo è stato sicuramente all’altezza della trama. Scena prima. I consiglieri Russo (Mpa) e Tantillo (Pdl) si avvinghiano reciprocamente allo scoccar dell’ora designata. Russo ha due manone da lottatore, Tantillo incalza a testa bassa come certi indomiti cani piccoletti che non hanno paura di affrontare il monumentale alano. Scena seconda. Improvvisamente si accende un altro focolaio. Milazzo (Pdl) e Ferrandelli (Idv) si abbracciano come due graziosi esponenti di tana della tigri. Abbondante partecipazione generale. Il pubblico in aula, ecumenicamente, manda tutti a quel paese. Il presidente del Consiglio, Alberto Campagna, è pallido, teso stravolto. Dura pochi minuti. I minuti più lunghi della seduta del consiglio comunale di Palermo, convocata ieri sull’Irpef, ancora tecnicamente viva alle quattro del mattino, infine morta di inedia (però la fatal mezzanotte e ventidue è da ritenere l’orario sostanziale della fine tecnica ed emotiva della sceneggiata). Ed è proprio in quei secondi di spintoni che ti domandi oziosamente: che bisogno c’è di un consiglio comunale, con tutti i casini che abbiamo? Perchè costringere due vigili a sudare, col pennacchio in testa? In rappresentanza di cosa? Perchè pagare gli stenografi e l’omino che ha l’unico e nobile compito di accendere e spegnere il microfono dell’oratore di turno? La democrazia costa e in fondo le parole sono una complicazione dell’essenziale. Basta con Sa (loon) la delle lapidi. Vedetevi in qualche vicolo portuale e picchiatevi di santa ragione. A mascelle sderenate, fateci sapere il nome dell’energumeno vincente.
A vederlo tutto insieme, perfino al netto della rissa, il consiglio comunale di Palermo fa pena. Ci sono gentiluomini e gentildonne, certo. Ci sono persone seriamente impegnate nella missione della politica. Ma è l’organismo nel suo insieme a dare l’idea di una fatale necrosi. E’ pieno di pustole. E poi non ci sono solo gentiluomini e gentildonne. C’è il tizio che ingaggia lotte a ripetizione contro il congiuntivo e le perde tutte. C’è lo scaltro. C’è il sonnachioso. C’è il servo fedele del suo effendi. C’è il consigliere che conosce una sola parola, “strunzo”, e la ripete ogni ora al suo avversario prediletto. E c’è una grande atmosfera da caserma. Fanno a cazzotti? Niente paura, un nanosecondo dopo eccoli mano manuzza nel corridoio, mentre si spiegano e si giurano un eterno amore di casta. Capite, c’era la stampa, c’era il pubblico. Gli squali non restano indifferenti all’odore del sangue.
E noi abbiamo assistito a uno spettacolo che non sapremmo come riassumere. Almeno fino a mezzanotte e ventidue. Lì è stato tutto chiaro, col primo spintone: gli interessi in campo, l’odio, l’ignoranza, la mancanza di decenza. E siccome il consiglio comunale di Palermo è un paradosso della democrazia, la fine non poteva essere che altrettanto paradossale. Dopo la baruffa intraconsiliare, si è convenuto per lo sgombero (momentaneo) dell’aula. Indovina indovinello, sono stati cacciati dal sacro tempio i consiglieri dal sangue bollente o gli innocenti cittadini del pubblico? Chi l’ha pagata, secondo voi?
Bravi. Avete indovinato.
Il consiglio comunale che cosa è se non lo specchio che riflette l’immagine di una città. Palermo è quest’immagine che il cronista ha dipinto abbastanza bene. Non c’è speranza allora, non lo so. Però so che il consiglio comunale e lì nelle strade puzzolenti, nello squallore e nella rassegnazione che impregna la città, nell’indifferenza, nello spreco, nell’arroganza e nel privilegio sfacciato. Mi sto abituando all’immondizia, vedo aumentare giorno per giorno la rassegnazione di mia figlia che, come tanti figli, dopo anni di ricerca, di concorsi, di curriculi, accetta un lavoro precario, mal retribuito, lontanissimo da quella che è la sua preparazione scolstica. L’alone buono di questa triste immaggine c’è, sicuramente, ma rimane sfocato, intimidito. Forse non è da “furbi” amare la propria città. Essere furbi questo è l’imperativo dominante. Ma siamo veramente furbi ?
E purtroppo è tutto vero, non solo, è una minima parte della verità! Ieri notte mi sono “stravergognato”!!! Cui prodest!
Angelo sono daccordissimo con te, sante parole le tue!
Come al solito pessimo spettacolo, vergogna a go-go, dignità calpestata….e ai cittadini nessuna parola!
Nessuno che abbia scritto nulla sulle lamentele del “frustrato pubblico di cittadini” che ieri ha assistito allo spettacolo..meno male che il biglietto era gratis!
Nessuno prende in considerazione le parole di noi cittadini indignati…ma tutti bravi a scrivere che Palermo è assente!
ciao Roberto complimenti!
un grande articolo per un indegno spettacolo.
salvo
Grazie