Sangue, spaccio ed estorsioni |Gli affari dei "Milanesi" - Live Sicilia

Sangue, spaccio ed estorsioni |Gli affari dei “Milanesi”

(Carmelo Di Stefano filmato durante la latitanza)

Sventrata la cosca dei Cursoti. Sono 25 le ordinanze eseguite dalla Squadra Mobile. LE FOTO - TUTTI I NOMI

 

CATANIA – Operazione di bonifica della Squadra Mobile contro la criminalità organizzata. Azzerato il clan dei Cursoti Milanesi: un colpo d’ascia alla cosca che storicamente era legata al boss “scissionista” Jimmy Miano, deceduto nel 2005, che tra gli anni ’90 e 2000 aveva costituito un’organizzazione illecita che operava tra la Lombardia e la Sicilia.

25 sono le misure eseguite oggi dagli agenti guidati da Antonio Salvago. Due sono ancora latitanti. Colpito il cuore dei “Milanesi”: finiscono in carcere gli affiliati ancora a piede libero, mentre si appesantiscono le posizioni dei 9 già finiti in gattabuia nel corso di altre operazioni come quella “Indipendenza” sempre della Mobile di Catania. L’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia guidata da Giovanni Salvi e condotta dai pm Antonella Barrera e Pasquale Pacifico ricostruisce la mappatura, il giro d’affari e la geografia di potere di un gruppo, che secondo gli atti investigativi, vedono come capi promotori Carmelo Di Stefano (insieme al fratello Francesco, arrestato in un’altra retata), Mario Russo e Rosario Piterà.

Dal 2009 al 2012 i Cursoti Milanesi avrebbero controllato numerose piazze di spaccio attraverso un’organigramma a 6 “squadre”. Corso Indipendenza, Viale Moncada, Via Capo Passero ma anche zone di San Cristoforo e San Giorgio. Ma il regno incontrastato dei “Milanesi” è San Berillo Nuovo, come ha dimostrato anche l’operazione Indipendenza che ha “documentato e filmato” il fiorente giro di spaccio con introiti a 4 zeri alla settimana.

L’inchiesta Final blow ha determinato la “mappatura” delle zone di potere: A Galermo il referente sarebbe stato Antonio Nigito, al Villaggio Sant’Agata invece Sebastiano Solferino, alla Fiera di piazza Carlo Alberto Mario Tosto avrebbe controllato le estorsioni agli esercenti del mercato. A San Cristoforo il gestore sarebbe stato Salvatore De Luca, a Librino il comando sarebbe stato affidato a Mario Russo.

Le indagini della Squadra Mobile si sono mosse anche scorta delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, anche ex affiliati del clan rivale dei Cappello, tra questi Gaetano D’Aquino. Sono le parole di Michele Musumeci detto Pamela, di Russo Franco e del neo pentito Ugo Angrì ad aver dato direttive precise ed aver chiuso il cerchio sulla delicata inchiesta che ha portato anche a svelare come l’organizzazione criminale fosse “armata” e capace di “uccidere” anche per confermare il suo potere di controllo.

Tentato omicidio, spaccio, estorsione, armi sono i reati contestati a vario titolo ai destinatari del provvedimento.  A “cristallizzare” in maniera quasi inequivocabile il vincolo associativo le intercettazioni operate dalla polizia, sia video che audio, durante la latitanza dei fratelli Di Stefano. Si riunivano tutti in una villetta, chiamata “capanna”, nella zona tra Piedimonte e Giarre. Per “sviare” gli investigatori si utilizzavano degli pseudonimi, Carmelo Di Stefano arrestato dalla polizia mentre si reca in un ristorante alla guida della Bmw nonostante la sua paraplegia, era chiamato “Lorenzo”.

Una cosca, raccontano i vari collaboratori di giustizia, che ha vissuto forti tensioni intestine: soprattutto per la gestione delle piazze di spaccio. Francesco Di Stefano, identificato come chi dispone le direttive, sarebbe stato un accentratore: guai a non seguire i suoi ordini o a non rispettare gli accordi intrapresi. Ne sanno qualcosa l’imprenditore edile che si era rifugiato da Giovanni Colombrita per non pagare l’estorsione ai Cursoti Milanesi e per questo pestato a sangue, e Daniele Paratore, pusher crivellato di colpi per non aver diviso gli introiti dello spaccio con Di Stefano.

Nel 2009, a causa proprio di quella estorsione “contesa”, si scatena una forte tensione con i Cappello. Francesco Di Stefano ordina di uccidere Giovanni Colombrita. Un piano arrivato anche alle orecchie di D’Aquino che racconta di essere stato avvertito e di “stare attento”. Colombrita però non scende di casa la notte dell’agguato: il bersaglio allora diventa il suo guardaspalle Orazio Pardo, che rimane ferito insieme al suo scagnozzo Salvatore Liotta. Quasi un miracolo, racconta Michele Musumeci, visto come era ridotta la smart. Per questo delitto sono stati condannati Francesco Di Stefano e il neo collaboratore Ugo Angrì, e pende anche una richiesta d’appello della procura nei confronti di Cristian Parisi, assolto in primo grado. Per questa azione criminale sono accusati dalla Dda e inseriti nell’ordinanza di oggi, firmata dal Gip Barbagallo, Carmelo Di Stefano e Filippo Scaglione.

 

 


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