CATANIA. La Corte d’appello di Catania ha confermato la confisca di beni al catanese Santo Strano, 56 anni, fedelissimo del clan Cappello. Strano è ritenuto tra i capi del pericoloso e attivissimo gruppo dei Salvo, egemone nella zona del villaggio Sant’Agata. Pluripregiudicato, il Tribunale gli ha già restituito vari beni che erano stati posti sotto sequestro, tra cui conti correnti, carte postepay e il negozio della moglie.
Rimane congelato il resto, ovvero un appartamento ex proprietà dell’Istituto autonomo case popolari di Catania e alcuni orologi di valore. Ma la difesa di Strano, l’avvocato Francesco Antille, ha già presentato ricorso in Cassazione e dunque la confisca, in attesa del pronunciamento della Corte, continua a non essere definitiva. Il sequestro è stato compiuto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania.
La Corte di appello di Catania, come detto, ha confermato in toto il provvedimento di primo grado. Ma secondo fonti vicine alla difesa di Strano, il verdetto d’appello non avrebbe risposto a questioni importantissime sollevate dal difensore in aula. Questioni che, teoricamente, potrebbero finire per richiedere un pronunciamento degli ermellini a Sezioni unite.
Una di esse sarebbe legata all’attualità della misura, considerato che Strano è detenuto da otto anni ininterrottamente e non risulta che abbia commesso reati da quando è in carcere. Inoltre, anche per questo, bisognerà valutare la sua “pericolosità sociale”. La difesa ha impugnato sia la misura patrimoniale che quella personale.
Tra i beni confiscati vi sarebbe un immobile, come detto, una casa popolare di Catania. Tale confisca, sempre secondo fonti vicine alla difesa, sarebbe inefficace perché quel bene è stato pignorato diversi anni fa. Sarebbe stato gravato da un mutuo non pagato da Strano. La banca, semplicemente, per il mancato pagamento delle rate del mutuo aveva chiesto e ottenuto un’esecuzione immobiliare.
Da qui uno degli interrogativi sollevati dalla difesa: come si può parlare di sperequazione tra redditi e proprietà se la proprietà in questione è stata acquisita con un mutuo non pagato? È uno dei temi su cui, stando sempre a fonti di difesa, dal pronunciamento di appello non sarebbe arrivata un’adeguata risposta.
Santo “facci i palemmu”, secondo i pentiti, avrebbe “ricoperto il ruolo di responsabile del gruppo del clan Cappello operante in via della Concordia di Catania”. Avrebbe deciso “le strategia operative, l’approvvigionamento della sostanza stupefacente e le modalità del recupero illegale di ingenti crediti”. E sarebbe stato il “trait d’union sia con il gruppo operante nei territori di Catenanuova-Centuripe-Regalbuto sia con il capo dell’organizzazione mafiosa Salvatore Cappello”.
Si sarebbe rapportato con lo stesso boss Cappello, secondo l’accusa, “quando dovevano essere assunte decisioni nel nome e nell’interesse del clan”. Strano, ricostruisce in una nota la Procura distrettuale di Catania, “ha vissuto, alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, dei proventi illeciti dei reati contro il patrimonio per i quali ha riportato condanna definitiva: furti ed estorsione in concorso”.
Successivamente avrebbe “continuato a delinquere compiendo una progressione criminale che lo ha visto affacciarsi in contesti associativi anche di tipo mafioso almeno fino al 2017 ricoprendo ruoli di spicco e ricevendo utilità illecite significative”.