Rosario Crocetta, ovvero la caduta dalle nuvole. Anche nella vicenda della Regione che non si costituisce parte civile contro un funzionario, perché la corruzione non rappresenterebbe “allarme sociale” – secondo il parere dell’avvocatura – Saro ha assunto per sé il copione dell’innocenza tradita. E commentò, a rileggere le cronache: “Non so cosa sia successo. Dispongo subito un’inchiesta amministrativa”.
E’ il paradigma dell’indignazione che nasce dalla sorpresa, dal tonfo dopo la caduta. Il presidente corre in Procura, interroga, inquisisce, “dispone inchieste”, affinché giustizia trionfi. Rito Crocettiano Supremo la denuncia – soprattutto postuma – esorcismo in servizio permanente effettivo per oscurare il profilo di un governo inefficace. Può funzionare per qualche tempo. Poi, perfino tra i più distratti, si insinua un dubbio: ma com’è che si denuncia tutto e non si risolve mai niente?
Come si coniugano proclami tanto virtuosi col panorama di macerie che è la Sicilia del Crocettismo? Come mai – e siamo proprio al caso in specie – il governatore non conosce informazioni primarie sulle risposte da fornire in frangenti tanto delicati? Come si può sottovalutare un passaggio essenziale che riguarda la corruzione? Non si scappa dal bivio tra l’errore e la latitanza. O sa e sbaglia. O non sa e sbaglia lo stesso, perché dovrebbe sapere.
Forse, Rosario Crocetta farebbe meglio ad aprire una sola inchiesta: un’indagine interna su se stesso, sulla sua statura commisurata al ruolo che ricopre. E trarne l’unica conseguenza possibile: l’immediato abbandono di palazzo d’Orleans. Per manifesta incapacità.