PALERMO – È bastata mezz’ora al Pd per farsi male da solo. Mezz’ora in diretta streaming. Giusto per non far passare l’harakiri inosservato. Mezz’ora davanti ai colleghi della direzione nazionale. A rafforzare l’idea di chi considera la Sicilia una terra senza speranza. Mezz’ora. Alla fine della quale tutti i protagonisti sono tornati a casa sconfitti. Chi più, chi meno. Come nei film di Sergio Leone, al calare della polvere, dopo la fragorosa esplosione dei proiettili, tutti i contendenti sono andati giù. Per terra. Colpiti. Sconfitti, appunto.
Qualcuno la chiamerà “mediazione”. A qualcun altro piacerà la parola “sintesi”. Giusto per non chiamarla col suo nome: “sconfitta”. Per tutti. Ha perso, innanzitutto, il presidente della Regione Rosario Crocetta. Ha perso nella sostanza. E nei modi. Ha perso nei contenuti e nello stile. Il “suo” condidato è stato tagliato fuori. La capolista non è quella che lui desiderava. La “spallata” definitiva al segretario regionale, non è riuscito a piazzarla. Di contro, ha dimostrato, di fronte agli organi nazionali del Partito democratico una imbarazzante “schizofrenia politica”. Un doppiopesismo preoccupante, perché rivelato nello stretto giro di sette, otto minuti. La Chinnici? Figlia di Rocco, per carità, chi non la vorrebbe? Però… Però c’è quell’esperienza al fianco di Raffaele Lombardo. Marchio di infamia. Per un assessore notoriamente limpido e integerrimo.
Ma c’è quel marchio, per carità. Che avrebbe un senso, mettendosi nei panni di chi dell’antimafia ha fatto ragione di vita e di politica, se solo, appena pochi minuti dopo, il governatore non avesse rilanciato: “Se c’è Cracolici allora voglio in lista Lumia”. E il governo Lombardo? Il governo del condannato per mafia? Non era un problema? E non lo è chi fu, nel Pd, tra i principali sostenitori, ispiratori e difensori (nel Pd ancora ricordano il piccato rimprovero che Lumia lanciò nei confronti dell’allora presidente del partito Rosy Bindi che si limitò a chiedere al partito di non sostenere un presidente già indagato per i reati per i quali verrà successivamente condannato) di quel governo?
No. Quell’esperienza vale solo per Caterina Chinnici. Non vale per Giuseppe Lumia. Così come non vale per altri assessori, altissimi burocrati, commissari della Sanità che di quella stagione furono protagonisti. Attori centrali. Crocetta ha perso, quindi. Ha perso il suo candidato. E ha perso l’occasione, probabilmente, per dimostrate un po’ di coerenza. Sempre nel solco dell’antimafia militante, per carità.
Un’antimafia che per un altro degli sconfitti si capovolge. Nel “gioco di specchi” del Pd, quell’antimafia diventa quasi mafia. Anche Antonello Cracolici è fuori. Anche lui, che fu il primo a lanciare la sua candidatura per le Europee dovrà rinunciare. Una sconfitta che si aggiunge a quella legata al rimpasto. La sua area è stata tagliata fuori (o ha deciso di tagliarsi fuori) dalle trattative. Finendo così ai margini, da rappresentare quasi un’opposizione “di maggioranza”. Cracolici è fuori. Ma promette battaglia al governo. Al governo che anche lui ha contribuito ad eleggere. Se non è sconfitta questa…
Perde, malamente, anche Davide Faraone. Avrebbe voluto Lumia in lista. E non c’è. Avrebbe voluto Giusi Nicolini capolista. E non sarà lei. Il componente della segreteria nazionale ha provato a recitare in direzione la parte del “grande mediatore”. “Abbiamo lavorato per settimane, e questa è la sintesi migliore”. La sintesi, appunto. Per non chiamarla sconfitta. Perché il risultato delle trattative combinate rimpasto-Europee, chiuse “alla velocità che vuole Matteo Renzi”, lasciano sul tappeto un segretario in lite col governatore. Buona parte del partito contro il governo. E uno spettacolo quantomeno imbarazzante. Altro che mediazione.
In corso è una guerra senza quartiere – restando sempre all’interno della ‘surreale cittadella del Pd’ – innescata da un nome. Beppe Lumia doveva essere candidato. Per forza. Per lui il partito avrebbe dovuto piegare le regole dello Statuto. Deroghe, eccezioni a un partito che del concetto di legalità – che sarebbe, poi, il semplice rispetto delle regole – ha costruito un’immagine distante e difforme da quella di altre forze politiche. No, per il senatore Lumia è sceso in campo direttamente il governatore. Lo stesso che affermava, forse persino credendoci, che “la vicenda del rimpasto è slegata da quella delle Europee”. Lumia ha perso, due volte. Perché non è in lista, certo. Ma anche perché, con un comunicato “a caldo” ha confermato da solo l’inadeguatezza di una sua eventuale candidatura. “Adesso lavoriamo al rinnovamento”, ha detto infatti rivolgendosi al partito. Adesso, appunto. Adesso che lui è fuori. Proprio per il fatto di avere quasi vent’anni di mandato parlamentare alle spalle. Proprio perché, appunto, non rappresentava quel rinnovamento che ora il senatore invoca.
L’esclusione di Lumia è una vittoria di Raciti. Sul “no” al senatore, il segretario ha giocato persino la sua “legittimazione politica” alla guida del partito. E in questo senso, ha vinto. Così come ha incassato la scelta della capolista. E la fiducia dimostrata dagli organismi nazionali del partito. Ma quella di Raciti non è vera vittoria. I veti incrociati, le accuse, i veleni lo hanno “costretto” a candidarsi. Una decisione che lo obbliga a impegnarsi in una campagna elettorale che arriva in un momento drammatico per il partito siciliano e per la Sicilia tutta. E dalla quale dovrà necessariamente uscire con un buon risultato. Se non vuole minare la solidità della sua segreteria. La credibilità di un leader. La vittoria di Raciti, insomma, è anche una sconfitta. Non pari a quella degli altri “pistoleri di giornata”, ma pur sempre una sconfitta. La celebrazione dell’ennesimo paradosso del Pd, dove il segretario eletto da tutti appena pochi mesi fa, oggi rappresenta una minoranza numerica in un partito triturato dalla corsa alle poltrone. La polvere è appena calata. E per terra c’è pure lui. Insieme a tutti gli altri. Per terra, nella polvere, insomma, c’è il Pd.