CATANIA – “Ho sbagliato a pagare il pizzo, la mia vita è stata per tanti anni un inferno ma non ho mai chiesto favori alla mafia. Confido nella giustizia divina e ho fiducia in voi”. Le parole di Sebastiano Scuto, l’ex “re dei supermercati”, riecheggiano nell’aula che ospita l’udienza conclusiva del processo che lo vede imputato in Corte d’appello. Sull’imprenditore, un tempo leader nella grande distribuzione in Sicilia, pende una richiesta di condanna a 12 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, dopo la sentenza di primo grado che ha inflitto una pena di 4 anni e 6 mesi.
La lettura della memoria, a tratti interrotta dalla fatica e dall’emozione, ripercorre in un flash back la vita di Scuto, dagli insegnamenti dei salesiani fino ai tormentati anni della vicenda giudiziaria. “La mia vita è stata per tanti anni un inferno – aggiunge Scuto, rivolgendosi al presidente della Corte Ignazio Santangelo – la paura che i miei familiari e i miei collaboratori potessero rimanere vittime di gravi episodi delittuosi mi attanagliava notte e giorno facendomi perdere per sempre la tranquillità, la pace e la gioia di vivere”.
Nelle parole dell’imprenditore originario di San Giovanni La Punta, passa anche la sua ricostruzione sull’espansione del colosso, foraggiato dai capitali illeciti provenienti dal clan dei Laudani secondo l’accusa, frutto di lavoro ed eredità familiari secondo Scuto e i suoi legali. “Io non ho mai avuto bisogno di rivolgermi ad alcuno per avere un sostegno economico – spiega Scuto – perché già quando mio padre mi cedette la sua azienda, questa era molto ben avviata e solida. Poi nel 1970 mia moglie Rita ereditò un immenso patrimonio dal padre, Michele Spina, uno dei più famosi e ricchi imprenditori agrumicoli del sud”.
Ad essere scandito da Scuto c’è anche il nome di Eugenio Sturiale, il pentito che con la moglie Palma Maria Biondi, nipote della moglie dell’imprenditore, collabora con la giustizia. “La suocera di Sturiale venne a casa mia dicendo che aveva sentito dire a sua figlia e suo genero che mio figlio Turi camminava con una bara appesa alle spalle. Dentro di me si è scatenato l’inferno, ed ho fatto l’unica cosa che potevo fare per capire: ho incontrato Sturiale, volevo capire chi volesse distruggere la mia vita, la risposta era chiara, i Laudani volevo riprendere il rapporto estorsivo ma la mia risposta è stata altrettanto chiara: nulla avevo da dare a costoro”.
L’udienza si è conclusa con l’arringa dell’avvocato Guido Ziccone, che insieme ai colleghi Giovanni Grasso e Francesca Ronsisvalle compone il collegio difensivo di Scuto. In aula, oltre alla moglie e al figlio dell’imprenditore, c’era pure l’altro inputato, l’ex maresciallo Orazio Castro, assolto in primo grado e difeso dall’avvocato Tommaso Tamburino. Adesso l’attesa è tutta per la sentenza.