"Se i falsi invalidi spezzano | la catena della solidarietà" - Live Sicilia

“Se i falsi invalidi spezzano | la catena della solidarietà”

Alessandra Siragusa e i progetti per i disabili
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Alessandra Siragusa

Alessandra Siragusa

Dalle barriere invisibili che dividono i soggetti portatori di handicap da quelli normodotati, fino ai doveri degli enti locali, passando per la legislazione nazionale in materia di disabilità. Alessandra Siragusa, palermitana, deputata nazionale tra le fila del Pd, parla a LiveSicilia degli strumenti con cui la politica agevola i diversamente abili. O, almeno, come dovrebbe farlo.
“Parlando di diversamente abili, in questo momento c’è una difficoltà oggettiva nel proporre iniziative e progetti rivolti ai portatori di handicap, soprattutto al Sud. Il nostro Parlamento è profondamente influenzato dal razzismo della Lega, che fa di tutta l’erba un fascio e davanti ai progetti che riguardano la legge 104 finisce sempre col tirare in ballo i finti invalidi del Sud. In più con i tagli sempre più consistenti al sociale, i campi di applicazione della 104 continuano a restringersi”.

La questione dei falsi invalidi, però, purtroppo esiste davvero, non ci si può nascondere dietro un dito.
“Assolutamente si, non dico il contrario. La città principe, in questo senso, resta Napoli. Ma anche la Sicilia conta numerosi casi. Io sono la prima a dire che bisogna fare le verifiche necessarie e segnalare i casi sospetti alla magistratura, ma qui si rischia di buttare l’acqua sporca con tutto il bambino”.

In quali casi accade?
“Succede, per esempio, con i precari della scuola. Molte insegnanti chiedono il trasferimento perché madri di ragazzi portatori di handicap. Purtroppo succede che in questi casi la legge preveda che se la richiesta viene fatta adducendo come motivazione la legge 104, bisogna rifare tutti i controlli sanitari al soggetto portatore di handicap. Questo significa che per ottenere il trasferimento della madre, il figlio invalido deve sottoporsi a numerose visite”.

Il Pd cosa sta facendo in Parlamento in questo senso?
“C’è un disegno di legge, che in questo momento è al vaglio della Commissione Lavoro. Si tratta della regolamentazione dei prepensionamenti per i familiari (genitori, fratelli e sorelle) dei portatori di handicap. L’età pensionabile, secondo il nostro disegno di legge, scenderebbe a 53 anni e i prepensionati avrebbero il vantaggio di 5 anni di contributi figurativi”.

Mentre rispetto al mondo della scuola, che novità ci sono sul fronte dei portatori di handicap?
“Niente di rassicurante. Il rapporto insegnante di sostegno/studente invalido è sceso a 1 a 2, arrecando un grave danno ai ragazzi già penalizzati dai loro handicap. In più i tagli sulle compresenze alle elementari e il tempo prolungato alle medie hanno aggravato il quadro generale: ciò che per i gli studenti normodotati è già un disagio, diventa causa di smarrimento per quegli studenti che più di altri avrebbero bisogno di essere seguiti da vicino”.

Se il quadro della scuola non è rassicurante, ci si augura, almeno, che lo sia quello dell’inserimento lavorativo dei giovani invalidi…
“Qualche buona nuova all’orizzonte sembra esserci, almeno lì: c’è un disegno di legge sull’integrazione lavorativa che prevede una serie di agevolazioni alle imprese e cooperative sociali che assumano al loro interno soggetti portatori di svantaggio fisico. Il disegno di legge è ancora fermo al Senato. Staremo a vedere cosa succederà”.

Questo è il quadro generale visto da Roma. Gli enti locali, invece, cosa fanno o dovrebbero fare per i portatori di handicap delle loro comunità?
“Negli ultimi anni si registrano carenze molto forti degli enti locali siciliani su questo fronte. Io porto sempre l’esempio del Comune di Palermo, emblema dei disservizi negli ultimi anni. Ricordo che quando ero assessore alla scuola, prevedevamo contributi notevoli per sussidi di varia natura, come i fondi destinati all’acquisto di particolari pc da far usare ai ragazzi disabili, oppure per l’acquisto di banchi speciali, cose di questo genere. E poi c’erano i contribuiti destinati ai programmi d’integrazione, che coinvolgevano le famiglie, i ragazzi, gli insegnanti. Oggi quel capitolo di bilancio è a zero e anche l’assistenza igienico-sanitaria è molto discontinua”.

Da dove bisognerebbe ricominciare ad intervenire, secondo lei?
“Dai progetti di insegnamento dell’autonomia. Credo che siano determinanti. Danno fiducia ai ragazzi disabili e permettono di imparare cose estremamente semplici per i normodotati, ma che per loro diventano delle barriere invisibili. Mi riferisco ad imparare a prendere l’autobus da soli, piuttosto che saper pagare un bollettino alla posta o in banca, cose del genere”.


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