Il bilancio regionale troverà la maggioranza se dentro vi saranno le riforme. Ormai è un mantra della politica siciliana, un tormentone senza sosta. Da quando sono nato l’orizzonte riformista è entrato prepotentemente nella mia vita. Nella nostra vita. E’ un malanno dal quale è difficile liberarsi. Per dire. Non appena al telegiornale c’è una parola che comincia con la r, una fitta alla ferita sempre fresca si fa sentire. Per poi risolversi in una liberazione quando la lettera iniziale è l’inizio di altri vocaboli, tipo ricordo, rimessa, riletto, rifatto e via andando. Durante la visita militare avevo capito che riformato non era poi un bel complimento, si trattava di persone che avevano qualche difetto e perciò non potevano servire, beati loro, la patria armi in mano. E sino a quando si discute di riforme a Roma, puoi tentare di schivare le frecciate mediatiche. Lì, poi, proprio non ci sanno fare, si vede lontano un miglio che è un gioco di società, un risiko dell’improvvisazione, una tombola della banalità. A volte, devo ammettere, mi diverto anch’io. Per la verità, pur volendo essere comprensivo, non ho mai capito cosa significhi esattamente la parola riforma applicata alla politica. Sino a un certo punto mi pareva che bastasse e avanzasse la parola politica. Quella normale, trasparente, senza additivi. Ma il punto è che ormai il focolaio è vicino. Nella nostra regione non si parla che di riforme. L’epicentro è proprio sotto casa. Ad ogni riunione, nel bus, al bar, in chiesa, in ufficio, al supermercato, dovunque, puoi trovare un tifoso delle riforme. Un ultrà riformista della curva sud travestito con giacca e cravatta. L’altro giorno quel signore in salumeria sembrava tanto tranquillo. A un certo punto mi ha guardato in un certo modo, mentre il banconista affettava il prosciutto mi lancia il guanto di sfida. “ Riformiamo il turno, io che sono venuto dopo passo prima di lei”. Pur di non farmi scoprire, ho aderito alla richiesta. Inizialmente, ho pensato che quando in Sicilia si è cominciato a parlare di riforme, fosse solo per un tic nervoso, un rigurgito del passato. Mi sono detto, vabbè, passerà. Ma poi la cosa non si è fermata. Prima che succeda l’irreparabile, occorre farsene una ragione e cominciare a mutare lo stile di vita. Io ho già iniziato. Consiglio anche a voi di fare lo stesso. Cose piccole all’inizio. Io, ad esempio, ogni mattina, al bar, accetto che il caffè possa fare anche schifo, ma deve contenere almeno, per farlo diventare una bevanda succulenta, un pizzico di riforma. Il solo odore basta e avanza, non mi formalizzo più di tanto. Poi mi perfezionerò. Datemi tempo. Qualche speranza, è ovvio, rimane. Quando sento che si procede, proprio con il bilancio, a una nuova infornata industriale di stabilizzazioni e all’assegnazione a pioggia, come da nobile tradizione, di contributi a enti, associazioni e quant’altro, torno a rivivere. Mi rendo conto, ma è presto per dirlo, bisogna stare in campana, che dentro il cappello delle riforme ci siano le solite belle consuetudini. E qui mi rilasso un po’.
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