(rp) Questo è un Paese tollerante e di manica larga. Il presidente del Consiglio può dire che i magistrati sono un contropotere eversivo. Certi commentatori possono sputacchiare sul corpo di un uomo ucciso da ciechi e folli assassini. Dappertutto, si assiste alla catastrofe della decenza. Ma si protesta soltanto se di mezzo c’è un gay. E’ allora che si avverte il rischio di un sovvertimento di antiche consuetudini. E’ in quel caso che si sente come una ferita il crollo dei “valori condivisi”. E’ per quel frangente che si ritiene inderogabile la presenza di un contraddittorio. La licenza di insulto e di vilipendio di cadavere è accettata. La libertà di riflessione su alcuni argomenti spinosi è ancora un tabù. Il famoso contraddittorio? E c’è sempre bisogno del controcanto? O si immagina sul serio che l’utente di un pubblico dibattito non abbia cervello a sufficienza per impostare le sue deduzioni favorevoli o avverse al tema? Scusa speciosa, poi, se viene da destra, visto che proprio da destra si prendono per i fondelli i contraddittori di sinistra, quando adottano la stessa critica (l’esposizione reiterata di un concetto senza dialettica) al berlusconismo mediatico, che ha molte più platee e risorse di una semplice assemblea scolastica al “Garibaldi”. E’ una vecchia e abusata concezione: il popolo è minorenne e va guidato come un gregge, scansando i lupi che attentano alla sua innocenza…
Sulle persone gay bisogna aprire un breve capitolo a parte. Chi scrive considera almeno discutibile l’equiparazione alla famiglia naturale in termini di adozione. Il vero soggetto debole è il bambino da accogliere e tutelare. Una famiglia gay pone dei problemi da non sottovalutare in chiave di educazione e identità. A prescindere dalla delicatezza del quesito, sia consentita, per il resto, la massima liberalità di rapporti e di garanzie reciproche. Ormai – fatta salva l’omofobia – la lezione dovrebbe essere chiara: non sono certo i gay ad attentare alla moralità e alla sobrietà dei costumi.