Pizzini, Dell'Utri, Binnu | E c'è pure Cuffaro - Live Sicilia

Pizzini, Dell’Utri, Binnu | E c’è pure Cuffaro

Ore 13. L'interrogatorio si chiude con l'ultimo pizzino. "...mi è stato detto dal nostro sen e del nuovo pres… la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie te li farò sapere. So che l’avvocato è ben intenzionato.il nostro amico z ha chesto di incontrare il nostro amico sen...". "E' del settembre 2001 - risponde Ciancimino jr - il nostro sen è sempre il senatore Marcello dell’Utri, il nuovo pres. è Salvatore Cuffaro. Il nostro amico Z, è il portaborse Enzo Zanghì… l’avvocato è Nino Mormino, che con l’avvocato Pisapia curava il disegno di legge di indulto o amnistia. Significa che sia il presidente Cuffaro, in quota Udc, che gli amici spingeranno per il provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati". La testimonianza di Massimo Ciancimino continuerà il prossimo 8 febbraio in cui ci sarà anche il controesame della difesa.
La diretta del processo
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Ore 13. L’interrogatorio si chiude con l’ultimo pizzino. “…mi è stato detto dal nostro sen e del nuovo pres… la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie te li farò sapere. So che l’avvocato è ben intenzionato.il nostro amico z ha chesto di incontrare il nostro amico sen…”. “E’ del settembre 2001 – risponde Ciancimino jr – il nostro sen è sempre il senatore Marcello dell’Utri, il nuovo pres. è Salvatore Cuffaro. Il nostro amico Z, è il portaborse Enzo Zanghì… l’avvocato è Nino Mormino, che con l’avvocato Pisapia curava il disegno di legge di indulto o amnistia. Significa che sia il presidente Cuffaro, in quota Udc, che gli amici spingeranno per il provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati”. La testimonianza di Massimo Ciancimino continuerà il prossimo 8 febbraio in cui ci sarà anche il controesame della difesa.

12.50. “Marcello Dell’Utri e Bernardo Provenzano avevano rapporti diretti. Me lo riferì mio padre a cui era stato detto dal capomafia”. L’argomento è venuto fuori quando Ciancimino ha illustrato ai giudici il contenuto del già citato pizzino che Provenzano aveva scritto al padre. Nel bigliettino, che il teste ha consegnato in procura, il boss scriveva di avere parlato “al nostro amico senatore” di un provvedimento di amnistia che era stato caldeggiato da Ciancimino. “Mio padre – ha spiegato Ciancimino – disse che il senatore era Dell’Utri e che, anche se all’epoca il politico era solo un deputato, Provenzano era solito chiamare tutti senatori”.

12.40 “Carissimo ingegnere, con l’augurio… ho riferito i suoi pensieri al nostro amico sen., ho spiegato che loro non possono fare questi provvedimenti con l’amnistia quando governano loro…”. “Siamo in un’epoca in cui mio padre è agli arresti domiciliari a Roma, dal 2000 al 2002 – spiega Massimo Ciancimino – … mio padre mi ebbe a dire che Provenzano aveva riferito all’amico Dell’Utri circa lo stato di salute di mio padre e alla richiesta di un provvedimento di clemenza… “il nostro amico sen.” era Dell’Utri, aveva fatto una battuta… perché era deputato, ‘forse l’abitudine di scrivere sempre senatore’ ha detto mio padre, perché c’è un altro senatore più conosciuto…”.

12.33. Un personaggio avrebbe spinto il boss Totò Riina a proseguire nella strategia delle stragi. La figura dell’ignoto suggeritore, “il grande architetto”, che avrebbe fatto pressioni sul padrino di Corleone è stata citata da Massimo Ciancimino, dunque, nel pizzino di cui si è detto.

12.20 In un pizzino è scritto “Credo che è il momento che tutti facciamo uno sfozo come già c’eravamo parlati all’ultimo incontro, il nostro amico è molto pressato”. “L’ho preso da persone vicine a Provenzano, è la risposta al papello. L’amico è Riina, molto pressato…  fa riferimento a quel personaggio il ‘grande architetto’ che lo stava istruendo e lo stava istradando verso questo percorso, gli aveva riempiendo la testa… pressava Riina per andare avanti con le stragi…  erano contrari Provenzano e mio padre, soprattutto una volta che era stata avviata una trattativa… mio padre mi dice che scrive nella lettere al Provenzano che le richieste di Riina erano inaccettabili… l’ulteriore sforzo è quella sorta di contropapello…”.

12.00 “Nessuno ha controllato la mia cassaforte (col papello, ndr), poi sono stato avvertito da una persona vicina al signor Franco che di lì a poco mi sarebbe pervenuta un’ordinanza di custodia cautelare e nel maggio 2006 vado a depositare i documenti in un istituto svizzero”

11.30 L’interrogatorio riprende e la parola è presa dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia che mostra sette “pizzini”, consegnati alla procura di Palermo dallo stesso Massimo Ciancimino. “Fanno parte della documentazione da allegare al nostro progetto del libro… sono stati tutti da me presi direttamente da lui o da persone a lui riconducibili… venivano tutti da Provenzano. Lo so perché li prendo io stesso prima che mio padre me lo dice”.

11.10 “Mio padre si lamentava di essere stato scaricato e che qualcun altro lo aveva sostituito nel suo programma. Nei lunghi colloqui fra il Lo Verde, il signor Franco, mio padre. Non parlavano solo come mettere fine alla latitanza di Riina. Si stava mettendo in piedi un programma. Nel 1992 c’erano state da poco l’elezioni, l’avanzata della Rete, della Lega, c’era un partito, quello che di fatto aveva comandato negli ultimi 40 anni, soprattutto in Sicilia… che era un bacino di voti da non perdere… secondo mio padre che poi aveva avuto contezza… c’era Marcello Dell’Utri, lo dice nel 2000″.

11.00 “Mio padre aveva concordato con i carabinieri e con il signor Franco (uomo dei servizi) che si doveva rispettare la famiglia. Doveva essere messa in condizione di allontanarsi, raggiungere il paese, levare tutta quella che era la documentazione conservata da Riina. Oltre quello che poteva essere un reale archivio, temeva un atteggiamento da millantatore in merito a quello che erano le sua conoscenza e il suo archivio della documentazione. Riina si vantava che il momento in cui avrebbero perquisito il covo l’Italia sarebbe crollata. Non mi posso arrestare, trovano tanto di quella documentazione… se le scrive da solo… fu stabilito un margine per fare andare via la famiglia… era una sorta di “onore alle armi”. Un metodo meno traumatico, bisognava anche far percepire questo messaggio. Ne aveva parlato con Lo Verde (Provenzano, ndr), era stata recepita e accettata e l’aveva comunicata sia al signor Franco che ai carabinieri”.

10.45 “Questa nuova fase... a Provenzano si era assicurato… che poteva muoversi tranquillamente. Per poter garantire che Provenzano fosse l’unico capace a ricondurre Cosa nostra, anche a detta dei carabinieri, in una strada ragionevole. L’unico personaggio che poteva ricondurre Cosa nostra nella strada della non visibilità… fu garantito l’impunità. Questo fu detto ai carabinieri e fu assicurato dai carabinieri e di questo fu informato il signor Franco”.

10. 30 “A novembre viene richiesta una serie di documentazioni a De Donno per individuare il covo di Riina. Tabulati utenze telefoniche, gas, luce, acqua, piantine catastali che rappresentavano l’area dove stava Riina. Mio padre lo sapeva per via di interventi fatti da lui, tramite imprese, sulla zona. Mappe da dare a Provenzano dove avrebbe dovuto indicare… De Donno mi consegnò questi tabulati e un grosso tubo giallo con le mappe della città di Palermo.. mio padre mi dice di portarle a Palermo mandando un biglietto… ho consegnato la lettera e la busta a Lo Verde (Provenzano, ndr). I primi di dicembre… Questa documentazione viene restituita con le indicazioni… Era stato preso appuntamento con De Donno il giorno dopo a Roma… in questa documentazione, mio padre l’ha aperto davanti a me, era cerchiata una zona ben precisa di Palermo, poi col pennarello erano evidenziate delle utenze telefoniche… mio padre però a Roma fu raggiunto dalla custodia cautelare del questore di Palermo per la richiesta da parte di mio padre di un passaporto. Sono io a consegnarle a De Donno, chiedo a Giuseppe (De Donno, ndr) “ti giuro non ne sono niente, avevo appuntamento e ho trovato la polizia” era il 19 dicembre ’92. Poi mio padre mi disse di consegnare i documenti presi a Palermo al capitano”.

10.23 “I carabinieri non ipotizzarono nemmeno la cattura di Provenzano perché sapevano che grazie a lui sarebbero arrivati all’arresto di Riina”.

10.10 “Bisognava convincere un personaggio, il Provenzano, che non aveva nell’indole, nella sua natura, il tradimento. Ci furono diversi colloqui per quello che mio padre definiva la ‘presa di coscienza’ per definire la cattura di Riina. Quello che era l’intento iniziale di Provenzano di farsi da parte era venuto meno, mio padre gli disse che non poteva tirarsi indietro. Gli diceva ‘gli rendiamo l’onore delle armi…’ avviene a novembre perché si riesce a convincere Provenzano che capisce che questa situazione è indispensabile. Ci sono stati più incontri con i carabinieri, con Lo Verde (Provenzano), col signor Franco, soggetti costantemente informati anche a distanza di ore”.

10.00 “Provenzano viene informato che da quel momento in poi deve fare il ruolo chiave per giungere al fine. ‘Non puoi tirarti indietro, hai creato tu questo soggetto, assumitene le responsabilità e metti fine alla latitanza di Riina”. Viene informato il regista, gli interlocutori di mio padre che si doveva passare a una fase collaborativa. Cambia infatti anche la contropartita. Si abbandona il papello… mio padre aveva percepito l’impraticabilità della trattativa. Si torna all’impianto iniziale… le mire di mio padre non erano i 12 punti del papello ma si riferiva ai possibili benefici sui processi in corso… Voleva chiaramente che l’interlocutore informato fosse il Violante, unico soggetto che secondo lui avesse pieno potere su quello che era il mondo della magistratura, unico elemento di garanzia, in grado di condizionare decisioni dei magistrati, era solo Luciano Violante”.

9.50 “Dopo via D’Amelio cambia tutto. Dalla prima trattativa, proposta iniziale delle istituzioni di possibili benefici, atteggiamento un po’ morbido verso i superlatitanti, la loro consegna, si passa alla volontà di voler catturare Salvatore Riina e non Provenzano in quanto gli stessi (i carabinieri, ndr) sanno che l’interlocutore di mio padre era Provenzano. Mio padre non aveva contezza degli ultimi spostamenti di Riina. Non aveva questo tipo di notizie da poter dare, quindi si doveva servire di Provenzano. Il momento storico non era facile…”

09.40 La strage di via D’Amelio. “Mi ricordo che era domenica eravamo a Roma, mio padre mi chiamò, mi fece vedere la notizia il primo commento fu amaro triste, disse che si sentiva anche se indirettamente responsabile di quella che era l’ennesima strage. Dettato dal fatto che il tentativo di aprire questo dialogo con Riina da parte delle istituzioni aveva innescatato un valore aggiunto a quella che era l’azione stragista di Cosa nostra, ‘se questo è capitato è anche colpa nostra. ‘mi sento in colpa anch’io per quello che è successo’ disse. Se Borsellino fosse venuto a sapere di questo tentativo, di questo tentativo di dialogo, non era una persona disposta ad avvallare questo percorso. Rimarcava di sentirsi responsabile per aver dato un’accellerazione”.

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