PALERMO – “Dovremmo rivedere il nostro nome: di centrodestra abbiamo poco e di nuovo pure”, sintetizza con una battuta il senatore Bruno Mancuso. In effetti il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano ormai col centrodestra ha chiuso. Il dado è tratto e la strada che porta al patto con il Pd, che domani potrebbe trasformarsi in una confluenza, è segnata. Tanto da suscitare perplessità e mal di pancia in diversi esponenti del partito, secondo le cronache apparse sui giornali nazionali in questi giorni. Un pezzo degli alfaniani non è pronto alla mutazione genetica che sta portando gli ex berlusconiani dalle parti di Matteo Renzi. E tra i big di ieri e di oggi, da Maurizio Lupi a Carlo Giovanardi, il richiamo del vecchio centrodestra berlusconiano si fa sentire.
I dubbi scuotono soprattutto la deputazione nazionale di Ncd, la bellezza di 69 tra deputati e senatori, per i quali la rielezione, anche alla luce della nuova legge elettorale, è più che un terno al lotto. Da qui il rischio di scissioni sul territorio e di un’implosione del piccolo partito centrista.
Il partito siciliano, almeno ufficialmente, sta tutto con Alfano, pronto a consolidare l’alleanza con Renzi. Ma nell’Isola, tra il dire e il fare c’è di mezzo Crocetta. E il suo governo, dove siede l’Udc, che con Ncd dovrebbe dare vita a breve al nuovo soggetto centrista junior partner del Pd renziano. Una bella anomalia sulla quale gli esponenti del partito, tutti abbastanza convinti del patto con Renzi, vanno in ordine sparso: “O entriamo noi o esce l’Udc – ragiona il co-coordinatore Francesco Cascio -. Si può ragionare insieme su una exit strategy per votare nella prossima primavera”. Simile, ma con qualche sfumatura diversa, la posizione dell’altro coordinatore, il sottosegretario Giuseppe Castiglione: “Qui in Sicilia c’è un governo fallimentare che trascura i problemi della finanza pubblica e dell’utilizzo dei fondi europei. Non siamo affatto interessati ad entrare in giunta. Semmai siamo disponibili a un confronto col Partito democratico sulle riforme da portare avanti per il bene della Sicilia”.
La pensa diversamente il deputato regionale Nino Germanà: “Certo, dobbiamo capire come organizzarci in vista delle future alleanze. A Roma siamo al govenro qui all’opposizione. Io non sono tra quelli che si scandalizzerebbero di un nostro ingresso in giunta. Bisognerebbe ridiscutere tutto, però, servirebbe un accordo politico. Per dare una mano alla Sicilia si potrebbe fare”. L’idea non piace affatto al senatore Bruno Mancuso: “Ci sono deputati siciliani che vedo vicini anche a un possibile ingresso nel governo di Crocetta e questo mi vede assolutamente contrario”.
Insomma, tanta confusione sotto il sole quando si parla di Crocetta e di Sicilia. Diversa è la musica se si ragiona del patto con Renzi, che ormai i dirigenti siciliani hanno metabolizzato. “Dobbiamo creare un nuovo soggetto con l’Udc e le liste civiche con un’alleanza stabile che ricalchi quella del governo Renzi, con cui stiamo facendo tante cose buone, aiutando l’Italia in un momento difficile”, insiste Castiglione, secondo il quale “il centrodestra, quel centrodestra di cui facevamo parte, non esiste più”. Divisioni nel partito? “A parte il caso Di Girolamo (Nunzia, l’ex ministro che ha salutato per tornare alla casa berlusconiana, ndr), niente”, minimizza il politico catanese. Sulla stessa lunghezza d’onda Cascio: “L’unico problema vero è la posizione di Lupi che immagina di candidarsi a sindaco di Milano. Ma credo che sia abbastanza isolata. La relazione di Alfano è stata approvata senza grandissimi problemi. Nonostante non abbiamo fatto alleanze con la sinistra alle regionali, siamo stati presi per traditori e insultati dalla destra. Non siamo graditi. E allora, piuttosto che con questa destra xenofoba e populista mi pare più vicina alla nostra identità un’alleanza con Renzi”.
Chiamiamolo Nuovo centrosinistra, allora? “I vecchi schemi a cui eravamo abituati sono finiti. Renzi ha stravolto la politica come Belrusconi nel ’94 – commenta Germanà -. E le dico che un mio ritorno al centrodestra non sarebbe credibile, non ci credo più”.
Non tutti però sono così ottimisti sul rischio di qualche smottamento. Bruno Mancuso che respira l’aria del Parlamento nazionale, dove le fibrillazioni ci sono eccome, risponde così alla domanda sul rischio scissione: “La De Girolamo che è una delle fondatrici e va via, quello è un segnale negativo. Se resta questo Italicum siamo destinati a scomparire. Dovremmo convergere in un listone. La verità è che ci sono tanti interrogativi che ci mettono in una posizione di riflessione”.
Se a livello regionale, insomma, una lista Ncd-Udc potrebbe consentire il ritorno all’Ars (alle ultime Europee il tandem centrista si attestò al 9 per cento in Sicilia), a livello nazionale il futuro dei quattordici parlamentari siciliani del partito è tutto da scrivere. E la gara a chi si sente più renziano si è già aperta. Sempre più vicina al premier il sottosegretario Simona Vicari, già schifaniana, che ha assunto un profilo assai “governativo”, un percorso simile per certi versi a quello della compagna di partito Beatrice Lorenzin, ministro della Salute apprezzata da Renzi. E a proposito di Lorenzin, ecco un altro incrocio Ncd siculo-romano. Quello che ha visto protagonista Lucia Borsellino, già inserita quest’estate nella ridda dei papabili per una candidatura a Palazzo d’Orleans appoggiata da Pd, Udc e Ncd. Il 18 agosto, all’indomani dell’assegnazione della scorta decisa da Alfano, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che fa capo proprio al ministero dell’alfaniana Lorenzin, le attribuiva un nuovo incarico romano.
Da qui al voto per le prossime regionali, c’è comunque un tempo che oggi nessuno può quantificare con certezza. E che riserverà agli alfaniani passaggi delicati, a partire dalle prossime amministrative, dove non sarà più possibile, se si vuol chiudere il patto politico con Renzi, procedere con alleanze in ordine sparso. Il rischio scissione è solo rimandato.