Sicilia a rischio default? | La colpa è dei fondi fantasma - Live Sicilia

Sicilia a rischio default? | La colpa è dei fondi fantasma

Ivan Lo Bello parla di rischio fallimento a causa di "somme inesigibili". Si tratta dei cosiddetti residui attivi, cresciuti anno dopo anno dal 2000 in poi. Ecco nel dettaglio a quanto ammontano e perché non sono stati riscossi.

In bilancio 15 miliardi non incassati
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“Poste dubbie e residui inesigibili”. Sarebbero questi, secondo Ivan Lo Bello, i fattori in grado di far saltare in aria il bilancio della Regione siciliana. Una storia vecchia, a dire il vero, quello dei cosiddetti “residui attivi”, ma che oggi, di fronte, da un lato ai tagli sanguinosi operati dal governo centrale, e dall’altro al calo delle entrate dovute alla crisi (ovvero, le aziende hanno meno introiti, e quindi versano di meno allo Stato), rischia davvero di portare la Sicilia sull’orlo di un default modello-Grecia (come del resto già segnalato mesi addietro sul mensile “S” in un ampio servizio di Salvo Toscano).

E in effetti, il bilancio della Regione poggia le sue fondamenta sulla sabbia. Su tanti granelli di entrate presunte. Da esigere. Chissà dove, chissà come, chissà quando.

E per renderci di cosa stiamo parlando, è il caso di passare ai “freddi” numeri. I cosiddetti residui attivi (somme iscritte come entrate in bilancio, ma non ancora effettivamente riscosse dalla Regione), ammontano a 15,73 miliardi di euro. Un’enormità. Una somma lievitata anno dopo anno, dal 2000 in poi, e cresciuta un altro po’ anche nel 2011, quando sono state iscritte in bilancio entrate mai riscosse pari a circa 400 milioni di euro. Un incremento, rispetto al 2010, pari al 2,3%.

La montagna di soldi fantasma è quasi equamente suddivisa in somme “di parte corrente” (circa 8 miliardi), e somme “in conto capitale” (oltre 7 miliardi). E, come detto, questa somma è il frutto dell’accumulo progressivo di somme mai riscosse negli anni precedenti. Nel solo 2011, la somma iscritta in bilancio e non ancora riscossa è di 1,66 miliardi.

Il problema, però, al di là dei numeri, è quello legato alla possibilità, prima o poi, di recuperare “materialmente” queste somme. E da questo punto di vista, a dire il vero, la Regione siciliana dovrebbe dormire sonni abbastanza tranquilli. Di quella torta da 15 miliardi e mezzo, infatti, alla fine del 2011, 650 milioni erano già stati riscossi, ma non ancora versati. La stragrande maggioranza di quei residui, però, oltre 13,1 miliardi, sono considerate “somme da riscuotere certe”. Soldi, insomma, che non sono ancora entrati nelle casse pubbliche, ma che dovrebbero essere incassati senza problemi. Il resto delle somme da riscuotere di dividono tra quelle “dilazionate” (214 milioni), “incerte” (905 mila euro) e “dubbie” (216 milioni). Sarebbero queste ultime due voci, insomma, a sollevare maggiori preoccupazioni sull’effettiva possibilità di una riscossione.

In realtà, sia dalle parole di Lo Bello, sia da un velato accenno contenuto nel rendiconto generale per il 2011 delle Sezioni riunite della Corte dei conti, emerge qualche perplessità anche sulle somme cosiddette “di certa riscossione”. “Risulta improcrastinabile – scrive la Corte dei conti nel giudizio consegnato pochi giorni fa – anche su base regionale una effettiva ricognizione dei residui attivi disponendo le necessarie verifiche sulla sussistenza dei crediti iscritti in bilancio, specialmente di natura tributaria, procedendo, prima, alla corretta classificazione e, poi, ove ricorrano i presupposti, alla definitiva cancellazione di quelli già dichiarati inesigibili dalle Amministrazioni competenti”. Una “corretta classificazione”, scrive la Corte. Come dire: verifichiamo se le somme “certe” cono così certe, e quant dubbi ci siano su quelle “dubbie”.

E l’appello di Lo Bello a Mario Monti, potrebbe essere letto con una duplice chiave. Se, da un lato, infatti, come sottolineato anche dal procuratore generale della Corte dei Conti Giovanni Coppola, “lo Stato centrale non fornisce alla Sicilia adeguati mezzi finanziari, i siciliani continueranno a vivere nell’arretratezza delle proprie risorse infrastrutturali”, dall’altro, infatti, molte di quelle entrate (al momento) fittizie, dovrebbero essere riscosse proprio dagli uffici periferici dello Stato. Una considerazione messa nero su bianco dal ragioniere generale della Regione Biagio Bossone e dall’assessore all’Economia Gaetano Armao, nella relazione annuale consegnata alla commissione bilancio dell’Assemblea regionale siciliana.

Tra quei residui attivi, per esempio, oltre un quinto sono rappresentati dai mancati incassi dovuti della riscossione dei tributi: circa 3,4 miliardi di euro. Entrate, scrivono Armao e Bossone, “che non sono direttamente amministrate dagli Uffici regionali, in quanto la gestione giuridica delle medesime, per assetto statutario, è svolta dagli Uffici periferici dell’Amministrazione finanziaria statale operanti in Sicilia, dei quali la Regione deve necessariamente avvalersi”.

Altri due miliardi di “entrate erariali extratributarie” non incassate riguardano interessi e sanzioni relative alle riscossioni delle imposte dirette e indirette. “Gli Uffici regionali – scrivono Bossone e Armao – nei trascorsi esercizi non hanno mancato di rappresentare agli Uffici finanziari statali la necessità di approfondire le cause ostative alla riscossione de residui attivi certi, incerti o di dubbia esigibilità, dunque a verificare l’esigibilità dei crediti vantati dalla Regione”.

Insomma, è lo Stato che deve verificare l’annullamento di questi residui, e quindi la riscossione “concreta” delle spese iscritte in bilancio. “A tutt’oggi – si legge nella relazione – non è pervenuta alcuna informazione da parte dei competenti Uffici finanziari statali”, nonostante la “potestà d’eliminazione dei residui attivi” sia “ascritta, quale funzione propria ed esclusiva, ai competenti Uffici finanziari statali, nei confronti dei quali – prosegue il documento – l’Assessorato all’Economia, non essendo sovraordinato può svolgere solamente attività di raccordo”. E intanto, il bilancio della Regione continua a poggiare sulla sabbia. Una sabbia che somiglia sempre di più a quella delle spiagge greche.


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