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Sicilia, porte aperte al terrore

Il corsivo. L'Isis è a trecentocinquanta chilometri dalla Sicilia, con i suoi tagliatori di gole e la sua minaccia. E la risposta della politica qual è? L'assoluta noncuranza.

Il pericolo e la noncuranza
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Portatrice di terrore è l’ombra nera dell’Isis che, dalle coste libiche, si affaccia sulla Sicilia. Inconsistenti appaiono i balbettii della politica nazionale fin qui percepiti. Tragicomici, i sussurri della politica regionale che non può occuparsi del califfo Al Baghdadi e dei suoi barbari, perché ha da rimuginare sulla penultima consulenza, sull’ultimo strapuntino, sull’ennesima impostura.

Eppure, basterebbe compiere un piccolo sforzo di immaginazione per rendersi conto dei rischi potenziali, senza abbandonarsi all’isteria, senza sottovalutarli. Trecentocinquanta chilometri, tanto dista la Libia da Lampedusa. Una vicinanza – teoricamente, anche se lo scenario viene considerato assai improbabile – a tiro di missile. Una distesa di spiagge da Trapani a Pozzallo, non presidiata dall’allarme. Perfino gli scafisti si armano, mentre un barbaro intima: “Siamo a Sud di Roma” – la ‘mela rossa’ già agognata da sultani col pallino della conquista – mostrando il coltello in video, richiamando così altri a filmare nuove riprese in un continuo ‘ciak si gira’ della disumanità.

E’ un’accurata scenografia grandguignolesca, quella dell’Isis; un film immerso nel sangue, per muovere alla paura, per infiacchire. A questo e a niente altro serve l’esibizione di prigionieri, stretti dentro una tunica arancione – l’abito dei condannati a morte – in marcia forzata sul bagnasciuga, ognuno accanto al carnefice che lo sgozzerà un minuto dopo. La voluttà dello scannamento propaganda la debolezza della resa, l’assuefazione all’orrore: una raddoppiata tenaglia che stringe alla gola l’angoscia di tutti nel marketing dell’incubo.
Forse ha ragione Matteo Renzi: non è il momento di perdere, metaforicamente, la testa, davanti ai boia che le teste le tagliano davvero. Ma nemmeno risulta accettabile il belato, il puntiglioso ricorso alle pandette dell’Onu, l’atteggiamento di indifferenza che si contrappone a un avvertito bisogno di sicurezza.

Sul palcoscenico della tragedia, fa poi capolino lo scenario della farsa. La classe dirigente siciliana – formula sciatta per descrivere il nulla – cucina l’evento con l’immobilismo. Non si degna neanche di un sussulto. Nemmeno il più piccolo segno di attenzione si registra. La giunta non si riunisce, nulla interessa ai condomini di Palazzo d’Orleans, se non formalizzare utilissime nomine di sottogoverno. L’Ars si stiracchia nella sua indolenza, lontana dai riflettori, quando non ci sono in ballo norme che riguardino soldi e clientele. La vita pubblica dell’Isola abbandonata – aperta alle tempeste, chiusa alla speranza – langue nella sua palude di dimissioni annunciate, rigurgiti a mezzo stampa, chiamate di correità.

La cronaca offre un’ambulanza, con una bambina alla ricerca del posto in ospedale che non c’è, oppure un coltello sguainato in faccia? La risposta non cambia mai. Si attesta, nel canone dei noncuranti, sulla trincea della mancata assunzione di responsabilità. L’ombra del califfo si trova a trecentocinquanta chilometri da qui? Che importa? Quanti voti ha questo Al Baghdadi?


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