Sicilia, l'autonomia differenziata e il pericolo di una riforma spacca-Paese - Live Sicilia

Sicilia, l’autonomia differenziata e il pericolo di una riforma spacca-Paese

Tornano i venti di federalismo


Il 2 marzo all’Ars si è celebrato il trentesimo anniversario della morte dell’on. Giuseppe La Loggia. Il tema principale dell’incontro è stato l’autonomia differenziata, oggetto di un recente disegno di legge, presentato dal Sen. Calderoli e già approvato in Senato. A chi scrive piace ricordare il pensiero del prof. Busetta il quale ha fatto presente che il disegno di legge rischia di essere uno “spacca-Paese”, per cui “i cittadini del Mezzogiorno devono assolutamente mobilitarsi perché altrimenti passerà tutto sulle loro teste”.

Tornano i “venti di federalismo”

Già qualche anno fa, il prof. Busetta aveva espresso alcuni concetti che danno bene l’idea della situazione economica del Mezzogiorno, e della Sicilia in particolare, dall’ultimo dopoguerra ai giorni nostri. Una situazione che è utile ricordare, specialmente in questo periodo in cui si riaccendono quei venti di federalismo che, venuti meno o temporaneamente sopiti all’inizio di questo secolo, hanno ora ripreso vigore con l’idea della “autonomia differenziata”. Busetta ricordava come prima della guerra, l’economia italiana era abbastanza omogenea in tutte le regioni ma che nel periodo della “ricostruzione”, al Mezzogiorno è stato destinato un trattamento diverso dal resto d’Italia. Motivi politici, sociali e, forse, anche di altra natura, infatti, hanno fatto preferire di localizzare la “ricostruzione” nel nord Italia, senza che da parte dei meridionali ci fosse stata anche una minima reazione a questo trattamento.

Il gap infrastrutturale della Sicilia

Ricordiamoci che la prima autostrada, la A1, quando è stata costruita, si è fermata a Napoli. E da allora, pochissimo è stato fatto al Sud. Di ferrovia ad “Alta Velocità” dalle nostre parti non se ne parla nemmeno. Fino agli anni sessanta c’era anche la ferrovia a “scartamento ridotto” ed oggi la maggior parte della rete ferroviaria siciliana è ancora “a binario unico”. Si dice che fare il “Ponte sullo stretto” sarebbe uno spreco di risorse, utilizzabili invece in qualcosa di meglio, magari in altre parti del Paese. Nessun grande evento si tiene in Sicilia. L’Expo è stato fatto a Milano e non a Palermo. Eppure, in Spagna, l’Expo del 1992 si è tenuta a Siviglia. Sempre in Spagna, le prime autostrade non hanno collegato Madrid e Barcellona, ma il territorio meridionale della penisola Iberica.

In realtà, il principio dovrebbe essere diverso da quello comunemente accettato nel nostro Paese. Ci si dovrebbe rendere conto che, se esiste una zona economicamente depressa, bisogna intervenire anche in maniera decisa. E gli interventi in grado di favorire la crescita, sono legati fondamentalmente al potenziamento (o alla creazione) delle infrastrutture per favorire in modo diretto l’incremento della produzione, di beni e servizi, compreso – evidentemente – il turismo. Ed invece, nel nostro Paese, dopo la guerra, si è pensato di fare tutto il contrario.

Il Mezzogiorno non è un “ramo secco”

Il Mezzogiorno è stato considerato un “ramo secco” o, comunque, un “ramo prossimo alla morte”. Non è corretto. Anche il Mezzogiorno fa parte dell’Italia. Anche il Mezzogiorno contribuisce, in positivo o in negativo, al Pil nazionale. Anche nel Mezzogiorno si vota. Non è vero, quindi, che se si taglia il “ramo secco” del Sud l’Italia va meglio. Non è vero che è preferibile destinare risorse in zone dell’Italia considerate più produttive, piuttosto che nelle zone del Sud. E’ proprio il contrario. Solo se si creano infrastrutture al Sud si riomogenizza l’economia italiana e, se ciò accade, il contributo economico e sociale del Mezzogiorno potrà avere un peso significativo nell’economia generale del Paese, con effetti a catena che riguardano anche altri importanti problemi (la mancanza di lavoro e la criminalità organizzata, principalmente) che, purtroppo, contribuiscono a rendere più brutta l’immagine del Sud. Aumenterebbe pure il gettito fiscale, per l’espansione del reddito e la diminuzione dell’evasione.

Il costo della “fuga dei cervelli”

Quindi, non si chiedono regalie da parte del Governo centrale. Si chiede solo di modernizzare i porti, gli aeroporti, le autostrade e le altre infrastrutture, facendo venir meno gli ostacoli che, al Sud, impediscono oggi lo sviluppo dell’industria e del commercio. Bisogna investire principalmente sui giovani, evitando che questi debbano essere costretti ad emigrare, in altre regioni o, peggio ancora, in altri Stati. Ogni giovane che va via dall’Italia è una grossa perdita. E non solo dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista economico. La “fuga dei cervelli”, ossia l’emigrazione dei giovani che non trovano lavoro in Italia, ci costa quasi un miliardo di euro all’anno. E se pensiamo che, raggiunta l’età pensionabile, gli stessi giovani tornano nella maggior parte dei casi al Paese d’origine, accade che l’Italia prima è costretta a “regalare” ad altri Paesi la ricchezza spesa per la formazione dei giovani trasferiti altrove, e poi è costretta ad assicurarne la salute in vecchiaia.

I falsi luoghi comuni

In verità ci sono tanti luoghi comuni che inducono l’opinione pubblica a ritenere corretto il comportamento dei nostri Governanti. Si pensa, per esempio, che al Sud si lavora di meno e, forse, si lavora anche male. Ma sappiamo bene che non è così. Non si tratta di un problema genetico visto che, tutte le volte che un cittadino del Sud si trasferisce al Nord, oppure all’estero, raggiunge nella maggior parte dei casi risultati di assoluta eccellenza. E’ vero che qualche palla al piede esiste. C’è sicuramente la grossa piaga della mafia. Ci sono anche grossi sprechi, spesso assolutamente “legali”, qualche volta, purtroppo, addirittura legati all’autonomia regionale. Ma questo non può costituire un motivo per tagliare il “ramo secco”. Anzi deve essere un motivo per incrementare l’impegno per rendere zone depresse in zone uguali al resto d’Italia, affinché, tutti insieme, si possa contribuire alla ricrescita dell’intera Italia.

“La palla al piede”

Ed in effetti, il prof. Busetta, qualche anno fa, aveva perfettamente dipinto il quadro nel quale la nostra meravigliosa isola si trova a lavorare. Un quadro che era apparso già particolarmente reale e penalizzate per la Sicilia negli anni (inizi del terzo millennio) in cui si parlava di federalismo fiscale, ma che appare ancora estremamente reale e penalizzante oggi, specialmente in un momento in cui non si parla di federalismo, ma di “autonomia differenziata”, una locuzione che, agli occhi di molti cittadini del Sud Italia, appare come un vero e proprio eufemismo per tornare a perseguire, senza manifestarlo chiaramente, l’obiettivo primario di chi vuole a tutti i costi dare man forte al Nord Italia, ritenendo che il Sud sia soltanto una “palla al piede”, una parte della Penisola alla quale riservare un trattamento diverso da quello riservato alle altre regioni del Nord.

Le criticità del ddl

Le relazioni dei costituzionalisti partecipanti al Convegno sono apparse di estrema importanza, perché non solo hanno evidenziato gli obiettivi che, forse in maniera non palese, si intendono oggi perseguire con il disegno di legge ma anche messo in luce i principi costituzionali che ne dimostrano non solo le enormi criticità, ma principalmente la contraddizione di questo probabile provvedimento legislativo con il dettato costituzionale e con lo Statuto della Regione Siciliana, anche questo avente valenza costituzionale. Quella di cui si è parlato, è una legge finalizzata all’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione e, in 11 articoli, definisce le procedure legislative e amministrative per definire le intese tra lo Stato e le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata in diverse e specifiche materie.

La definizione dei Lep

Il Governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge delega dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Ed è proprio sui Lep (livelli essenziali delle prestazioni) che si discute principalmente. Per prima cosa sulle materie che dovranno formare oggetto di valutazione ai fini del livello essenziale di prestazione. Poi sulla loro misura, ossia sull’importo del finanziamento che lo Stato centrale dovrà assicurare alle Regioni per la realizzazione dei servizi che costituiscono l’oggetto delle funzioni trasferite. E’ chiaro infatti che se, accantonata peraltro l’ipotesi del costo storico, i Lep verranno fissati al ribasso, gli stanziamenti a favore delle regioni saranno più bassi e, sicuramente, insufficienti (come lo sono attualmente) per assicurare le prestazioni che vengono erogate al nord.

I tributi erariali

Qualcuno porta avanti la tesi del maggiore gettito delle regioni del Nord rispetto a quello del Sud. Sicuramente tale constatazione è veritiera, ma non è da intendere come un elemento negativo del Sud Italia, bensì un elemento che dovrebbe giustificare la maggiore attenzione del Governo centrale, ed anche
dei Governi regionali, alle citate regioni che danno un gettito minore. Ricordiamo, comunque, che In Sicilia, in attuazione dell’articolo 36 dello Statuto, il D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 ha previsto che è devoluto alla Regione il gettito di tributi erariali riscosso nel suo territorio (oltre che le entrate derivanti dai suoi beni demaniali e patrimoniali o connesse all’attività amministrativa di sua competenza), ossia tutte “le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque
denominate…”.

Ma è opportuno ricordare pure che il gettito delle imposte dirette ed anche dell’IVA è sicuramente legato al reddito ed al volume d’affari di quelle regioni, redditi e volume di affari certamente di importo superiore a quelli che, purtroppo, si realizzano in Sicilia e nelle regioni similari. Quindi i tributi che entrano nella casse della Sicilia (dei quali, peraltro, non fanno parte tutti i tributi riscossi all’importazione dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli) sono nel complesso inferiori rispetto a quelli riscossi nelle altre regioni del Nord. In materia di IVA, peraltro, c’è da dire ancora che le principali ditte fornitrici sono nel Nord Italia. Ciò comporta che i fornitori, fatturando ai clienti meridionali, addebitano loro l’Iva che, evidentemente, versano all’Erario (tramite l’Agenzia delle Entrate) nella regione (del nord) dove sono ubicate. Le ditte del Sud, clienti, invece, non solo pagano l’imposta ai loro fornitori ma spesso restano creditrici dell’IVA che dovrà essere rimborsata (sempre tramite Agenzia delle Entrate) dall’Erario regionale. Quindi, a tutte le altre regioni (specialmente quelle del Nord) spetta il gettito, mentre alla Sicilia (trattandosi di regione a Statuto Speciale) l’onere di rimborsare l’eventuale IVA a credito pagata alle ditte fornitrici del Nord.

La restituzione del gettito

In verità la Regione siciliana avrebbe diritto alla restituzione di una parte del gettito prima citato, come accade per l’Ires, ma non abbiamo notizia di una piena ed effettiva applicazione di tale disposizione, il che significa sottrazione di ingenti somme spettanti alla nostra Regione. Nello Statuto della Regione Siciliana, infatti, c’è una norma, l’articolo 37, che stabilisce che “1) Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. 2) L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima.”. In pratica, lo Statuto prevede che le imprese che producono nella nostra Regione ma hanno sede in altre parti d’Italia, devono versare alla Sicilia, previe intese tra il Governo nazionale e quello regionale, la parte di gettito corrispondente alla produzione realizzata nella nostra Regione. Una norma che, purtroppo, per la consueta scarsa attenzione, è stata realizzata in misura assolutamente parziale, con un evidente enorme danno per le casse della nostra Isola.

L’art. 38 dello Statuto

Ma nello Statuto c’è anche l’articolo 38 che stabilisce che “1) Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici. 2) Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto della media nazionale. 3) Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo”. Un principio di solidarietà che certamente verrebbe assolutamente disatteso seguendo i principi contenuti nel citato disegno di legge “Calderoli”.

Il legittimo sospetto

Ecco quindi il sospetto, avanzato da alcuni, che in realtà si voglia procedere ad una malcelata istituzione di un’autonomia finanziaria di tutte le regioni, dimenticando quello che Enrico e Giuseppe La loggia tanti anni fa, ed il prof. Busetta oggi, ebbero a sostenere, nel senso che l’autonomia può anche star bene a tutti, ma deve essere un’”autonomia solidale”, nel senso che il bene di una parte del Paese non può assolutamente prescindere da quello del resto dell’Italia. Un motivo in più per “motivare” i deputati, nazionali e regionali, ad attenzionare maggiormente non solo la grossa questione dell’autonomia differenziata ma più in generale l’autonomia regionale siciliana costituzionalmente prevista. Ricordiamo che il fallimento del Mezzogiorno rappresenta anche il fallimento dell’intero Paese ed il degrado della nostra vecchia autonomia rappresenta il fallimento degli obiettivi che si sono posti grandi statisti del nostro Paese, compresi evidentemente Enrico e Giuseppe La Loggia.


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