PALERMO – La condanna chiude nel peggiore dei modi una lunga carriera, già stoppata dalla radiazione. Ormai da alcuni anni Silvana Saguto ha dismesso la toga. Nella polvere finisce definitivamente il simbolo di un’antimafia andata a sbattere. Non ha perso solo lei, ma la credibilità di un intero sistema i cui rivoli esistono ancora. I contraccolpi sono visibili.
La Corte di Cassazione ha stabilito che esisteva un patto corruttivo con alcuni amministratori giudiziari. Il processo, però, torna in appello per rideterminare la pena, partendo dagli 8 anni, 10 mesi e 15 giorni inflitti nel giudizio di secondo grado a Caltanissetta. Il verdetto di ieri è molto articolato. Per molte ipotesi di reato l’ex giudice è stata assolta nel merito. Bisogna prendere atto che la difesa – Saguto era assistita dall’avvocato Ninni Reina – ha eroso in maniera consistente la montagna di capi di imputazione – corruzioni, concussioni, peculati, falsi – che l’aveva travolta. A cominciare dall’ipotesi dell’esistenza di un’associazione a delinquere. Restano però le corruzioni in concorso con gli amministratori giudiziari Gaetano Cappellano Seminara e Angelo Provenzano, queste sì divenute irrevocabili.
Per ogni ipotesi venuta meno Saguto avrà uno sconto di pena, la cui entità finale dipenderà da un calcolo non semplice. Nell’attesa di un nuovo processo il dato certo è che l’ex giudice è colpevole. Il reato c’è, meno mastodontico di quello iniziale (oltre 70 capi di imputazione) ma c’è. Il processo torna in appello e poi di nuovo in Cassazione. Non si conoscono i tempi di una giustizia che sa essere lenta. La prescrizione, al momento, è lontana (per l’ultima corruzione la data è 2028 e in ogni caso la colpevolezza dichiarata in Cassazione blocca ogni possibilità per l’imputata di goderne) per i reati più gravi.
Nelle operazioni di rideterminazione della pena finale si dovrà tenere conto, però, che alcuni reati minori prescritti lo sono già. Nell’attesa Saguto non andrà in carcere. Stessa cosa per il marito Lorenzo Caramma e per Gaetano Cappellano Seminara, assistiti dagli avvocati Antonio Sottostanti e Sergio Monaco. Anche Caramma (il cui ruolo rientra nel patto corruttivo con Cappellano Seminara) ha visto venir meno parte delle contestazioni.
Dura e pura. Spigolosa e intransigente. Scontrosa nei rapporti umani, specie con gli avvocati che ne contestavano i metodi processuali. Quando nel 2015 le cadde addosso l’accusa di avere gestito come un feudo privato il settore dei sequestri e delle confische dei beni ai mafiosi e agli imprenditori sospettati di essere in affari con i boss, il giudice Silvana Saguto si ritrovò dall’altra parte, da quella degli imputati che per anni non ha esitato a punire. Fu un tonfo.
Chi è Silvana Saguto: la carriera
Il nome di Saguto, 68 anni, è legato ad alcune pagine rimaste nella storia giudiziaria. Ad esempio, non ebbe timore nel 1993, a “sfidare” Totò Riina, quando era ancora nitido il boato delle bombe di Capaci e via D’Amelio. Saguto era il giudice a latere – presidente Gioacchino Agnello – nel processo in Corte d’assise per gli omicidi di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Durante una pausa le telecamere in aula restarono accese.
E così i magistrati, che si erano ritirati, ascoltarono Riina mentre invitava il pentito Gaspare Mutolo a tornare ad essere il “Gasparino” di sempre. “Farai la fine di Matteo Lo Vecchio”, gli disse il padrino corleonese citando il personaggio del libro “I Beati Paoli” che viene ritrovato impiccato in piazza della Vergogna. E così al rientro in aula Silvana Saguto chiese a Riina: “Che fine ha fatto Matteo Lo Vecchio, mi interessa”. “Ma non lo so c’è un libro che ne parla”. E Saguto: “Quindi lei legge libri a metà”.
Il “sistema Saguto” e la condanna
Un ventennio dopo il crollo e il sospetto che l’inflessibilità di Silvana Saguto nel sequestrare miliardi di beni ai più importanti gruppi imprenditoriali palermitani – tra cui i Niceta, i Rappa, i Virga, i Cavallotti – fosse lo strumento per fare banchettare gli amici. Molte misure di prevenzione emesse sotto la sua presidenza si sono concluse con un nulla di fatto, lasciando un lungo strascico di patrimoni in malora e imprese fallite. Altre hanno retto e sono diventate definitive. Anche questo va sottolineato, nell’attesa che si conosca la pena finale.
L’arresto
Nell’attesa di fissare e celebrare un nuovo processo di appello la Procura generale di Caltanissetta ha dato esecuzione al verdetto della Cassazione ed ha arrestato l’ex giudice che si trovava in una clinica di Palermo. Secondo i calcoli dei giudici nisseni, Saguto deve scontare 7 anni e 10 mesi.
Anche il marito in carcere
In carcere anche il marito Lorenzo Caramma, ingegnere, che ha beneficiato del patto corruttivo fra la moglie e l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. Quest’ultimo riceveva incarichi dall’ex giudice e la ricambiava affidando consulente al marito.
• Caso Saguto, tutte le vicende giudiziarie