PALERMO – “Dove cornuto è? La macchina è qua…tu pulisci, pulisci. Ma com’è che non te la sei “fidato” ad ammazzarlo?”. L’obiettivo era quello di uccidere, ma chi era stato preso di mira da Marcello D’India e Giovanni Bronzino era riuscito a scappare. Giovanni Zimmardi, colpito più volte con un coltello e sanguinante, aveva appena aperto lo sportello dell’auto e si era dato alla fuga. Poco prima, un’animata discussione aveva provocato la violenza all’interno dell’auto in cui si trovavano i tre boss della famiglia del Borgo Vecchio, smantellata con il blitz dei carabinieri anche grazie alle denunce degli imprenditori che avevano ricevuto richieste di pizzo.
In fuga e sanguinante
Un tentato omicidio raccontato per filo e per segno dallo stesso Zimmardi, nel gruppo degli esattori del pizzo del popolare rione, soccorso nella zona della Noce dal 118 e poi trasportato al Civico. Le indagini della squadra mobile erano partite immediatamente: “Durante il tragitto in auto – aveva raccontato Zimmardi – ho detto ai due di aver sentito dire che al Borgo Vecchio erano andati a mangiare in una taverna e avevano pagato con una banconota di 50 euro falsa. Ne nasceva una discussione animata e improvvisamente Giovanni, che era seduto sul sedile posteriore, iniziava a colpirmi”. Poi la fuga disperata e la richiesta di aiuto a una familiare che era riuscita ad avvisare in tempo i soccorritori.
“Lo dovevi ammazzare”
E’ uno dei retroscena dell’operazione “Resilienza” che ha portato a 20 arresti. Le microspie hanno captato e registrato le conversazioni tra i due aggressori subito dopo le coltellate e delineano ancora di più il contesto di violenza in cui il clan agiva. “Doveva morire qua… andiamoci di qua…solo gli sbirri…può chiamare solo gli sbirri..hai visto come faceva…per favore!!!. Ora muore dissanguato..e magari muore dissanguato…dammi un giravite… piglia un giravite che gli rompo tutte cose in questa macchina“. A quel punto i due avevano optato per un’alternativa: volevano cancellare ogni traccia di ciò che era successo ed evitare che le forze dell’ordine risalissero a loro. Dopo aver cercato di eliminare ogni impronta, avevano così deciso di dare fuoco all’auto di Zimmardi. “Piglia questo coltello Giova’ ci sono impronte…piglia il giravite piglialo così non parte la macchina…così gliela metto in corto circuito ma dove è buttato a terra? Non te la sei “fidato” ad ammazzarlo Giovà“.
L’incendio dell’auto
Un dialogo interrotto dal divampare delle fiamme, innescate dando fuoco ad un cumulo di carta di giornali. L’indomani Zimmardi si era rivolto a Salvatore Guarino, anche lui finito in manette durante il blitz e soprannominato ‘Parrì’. “Mi hanno pugnalato per 50 euro falsi, e ora che dobbiamo fare … ora che dobbiamo fare con questo? Cornuto che è … sbirro che è …mi hanno dato fuoco alla macchina Parrì’ … alla Noce … mi hanno dato fuoco alla macchina di dentro … me l’hanno accesa di dentro … crasti che non sono … questi sono spie … a me mi fai queste cose … eravamo tranquilli dentro la macchina … quello è sceso … è entrato … tra’ … tra’ … è entrato un’altra volta e già ha incominciato a darmi pugnalate nel petto … io mi sono parato con le mani … con le braccia ho aperto lo sportello e sono scappato e mi hanno assicutato, mi volevano ammazzare”.
L’intervento del capo mafia
Ad intervenire per ristabilire ‘la pace’ erano stati proprio Guarino e successivamente Monti, ritenuto il capo della famiglia mafiosa e pronto a ‘intercedere’. Un episodio già sminuito dai diretti interessati, D’India e Bronzino, già nel corso di una telefonata con Guarino, che aveva tentato di riportare la calma: “Tra amici si parla… tra amici si parla… hai capito?”. “Appunto… si parla… si parla – aveva risposto D’India . ma è giusto che si parla bene, lui era allegretto…era a “livello” ieri sera hai capito?! Ed è venuto a inquietarci… è venuto a posto a casa… è venuto a trovarci”. Insomma, sarebbe stata tutta colpa dell’alcol. Una vicenda conclusa in ospedale e per Zimmardi con dieci giorni di prognosi.