Ho scelto di fare il medico quando ero molto piccola per un motivo forse un po’ atipico: avevo paura della malattia. Ricordo che una volta mio fratello, che all’epoca aveva poco più di due anni, ebbe la febbre molto alta ed incominciò ad avere le allucinazioni: mia madre si spaventò molto e di conseguenza anche io. Allora pensai che se fossi diventata “una dottoressa” sarei stata capace di sedare quell’ansia.
Con una coerenza spaventosa e una determinazione che quasi pensavo non mi appartenesse, ho maturato quella convinzione negli anni a seguire. Adesso sono un medico in formazione specialistica: nonostante di questi tempi sia difficile mantenere il buon umore, al di là delle incompresioni, delle difficoltà create dalla mancanza di mezzi e della necessità di fare sforzi enormi per avere un risultato minimo, sono convinta di fare il lavoro più bello del mondo e non vorrei fare altro.
Ho la fortuna di condividere la mia giornata con delle persone che sono per me una grande fonte di ispirazione e che sono un tutt’uno con il camice bianco che indossano. Trascorro in ospedale molte ore al giorno e riesco pure a divertirmi, anche quando lo stipendio non arriva (“sei sempre in ospedale! Meno male che dovevi astenerti…” – cit. mia madre): e mi stupisco (e un po’ mi preoccupo) quando alle sei del pomeriggio mi ritrovo a parlare con una vecchietta che mi racconta di quando cominciò a ricamare (con tanto di esposizione di federe e cuscini).
Ma in realtà il mio rapporto con la paura non è cambiato tanto: ho capito che prescrivere il farmaco giusto è difficile, ma instaurare un buon rapporto medico – paziente lo è ancora di più… a volte un sorriso vale più di mille aerosol.