PALERMO – A fine maggio del 2016 i carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Termini Imerese fotografarono gli assetti della mafia in una grossa fetta della provincia palermitana. Una provincia dove la rifondazione di Cosa nostra sarebbe ripartita dagli anziani. Li chiamavano “i vattiati”, battezzati, per via della pregressa esperienza criminale. Adesso l’esercito di Cosa nostra ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio. In ottanta rischiano di finire sotto processo.
Da San Mauro Castelverde a Trabia, passando per decine di piccoli centri, la nuova mafia guardava agli uomini e alle regole del passato. I capi mandamento sarebbero divenuti Diego Rinella e Francesco Bonomo. Il primo è fratello di Salvatore Rinella, storico capomafia di Trabia, e il secondo è genero di Peppino Farinella, capomafia di San Mauro.
Le regole di un tempo passavano innanzitutto dalla reciproca assistenza: “Quando viene qualche d’uno che… che tu riconosci che è un amicu… se lo puoi aiutare lo aiuti, se non la possiamo fare che non si può fare… ma tre quarti che vengono a bussare da te… lo sai… lo conosci… mi devi fare… da dove venite… qua non venire più”. Si sta cercando di mettere in moto la situazione – dicevano gli indagati – però ci vuole il tempo”. Innanzitutto bisognava essere meticolosi con “il giro… l’incasso… il guadagno… tutta una cosa associata… a tutti questi discorsi”.
Dalle indagini coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci i e dai sostituti Sergio Demontis, Sito De Flammineis, Gaspare Spedale, Ennio Petrigni e Bruno Brucoli era emersa un’attività frenetica di controllo del territorio attraverso l’imposizione del pizzo e una miriade di contatti con alcuni boss di Palermo per gestire affari su cui le indagini non sono chiuse. A cominciare dal business dell’oro e dei diamanti che pareva interessare parecchio i mafiosi di Santa Maria di Gesù e Porta Nuova.