CATANIA – Una zona bunker di San Cristoforo dove spacciavano marijuana e cocaina indisturbati. Un giro d’affari di 10 mila euro al giorno che sarebbe arrivato alle casse della famiglia Santapaola Ercolano. I componenti dell’organizzazione criminale disarticolata nel corso del blitz Lava lo scorso anno dovranno affrontare il processo. Due rinvii a giudizio, tre patteggiamenti e 19 persone che saranno giudicate con il rito abbreviato: questo l’esito dell’udienza preliminare che si è svolta davanti al Gup Barbagallo.
Ivan Mancini e Danilo Pastura hanno optato per il rito ordinario e sono stati rinviati a giudizio, Andrea Vita, Salvatore Zappalà e Francesco Nicotra hanno patteggiato la pena, mentre i vertici e i sodali il prossimo giugno conosceranno le richieste di pena dei pm Jole Boscarino e Alessia Minicò. Sono 19 i nomi su cui si concentrerà la requisitoria dei due sostituti procuratori: Francesco Scuderi, Carmelo Calogero, Pietro Condorelli, Angelo Castorina, Giovanni Costanzo, Paolo Giuseppe Denaro, Giuseppe Fresta, Antonino Germanà, Giuseppe Ligotta, Filippo Marino, Carmelo Musumeci, Salvatore Musumeci, Vito Musumeci, Gaetano Privitera, Antonino Scuderi, Francesco Spanò, Gaetano Spanò, Marco Filippo Titola e Orazio Venuto.
Per la Procura gli imputati, in concorso con un minore la cui posizione è stata stralciata per competenza del Tribunale di via Franchetti, “sono organici di un gruppo promosso e diretto da Francesco Scuderi, detto Niculitto (il profilo criminale), Antonino Scuderi, Vito Musumeci e Carmelo Musumeci dedita al traffico di cocaina e marijuna”. Attività illecita (contestata per gli anni 2012 e 2013) direttamente riconducibile al sodalizio mafioso del clan Santapaola. L’aggravante mafiosa non era stata accolta in fase di ordinanza di custodia cautelare da parte del Gip, in quanto non era bastato al giudice l’apparato probatorio composto da intercettazioni, video, e rivelazioni del pentito Goffredo Di Maggio, storico spacciatore di San Cristoforo, proposto in fase di richiesta . Ma nell’inchiesta sono confluite anche le dichiarazioni di due nuovi collaboratori di giustizia, l’uomo d’onore dei Santapaola Fabrizio Nizza e il luogotenente del clan Davide Seminara. Un particolare non da poco se si pensa che nella ricostruzione del canale di approvvigionamento era stato scoperto che erano proprio i Nizza a rifornire di droga il gruppo di spacciatori.
Due i bracci dirigenziali che operavano nel quadrilatero di San Cristoforo attorno a piazza Caduti del Mare. I fratelli Musumeci da una parte e la famiglia Scuderi, storicamente vicina ai Santapaola dall’altra. Una copertura importante quella di Francesco Scuderi, Niculitto è infatti genero di Turi Amato, storico appartanente al clan Santapaola, reggente di uno dei gruppi cittadini più importanti, quello degli Ottantapalmi e sposato con Grazia Santapaola, cugina del capomafia Nitto Santapaola. Il collaboratore Goffredo Di Maggio ha raccontato di aver saputo dallo stesso Scuderi “che i proventi dell’attività di spaccio della sua piazza, in parte, erano destinati al mantenimento in carcere del suocero Turi Amato e del cognato Alfio Amato”.
Niculitto con i suoi sodali avrebbe messo su una vera e propria azienda dello spaccio: con manager e operai. Turni di lavoro precisi, mancava solo il timbro del cartellino. L’organigramma “societario” si divideva per fasce. In posizione apicale – come detto – c’è Francesco Scuderi, affiancato come braccio operativo dai fratelli Vito e Carmelo Musumeci, responsabili della piazza di spaccio e con funzioni di controlli e coordinamento di tutti gli altri sodali. Nella fascia intermedia c’erano Filippo Marino, Giovanni Costanzo, Gaetano Privitera e Ivan Mancini che avrebbero avuto “compiti di raccordo tra i vertici e la manovalanza”. Alla base della piramide si collocavano i lanciatori, i pusher e le vedette.
Il lanciatore, la nuova professione dello spaccio che emerge dall’indagine Lava, è una figura che serviva ad evitare grosse perdite di denaro e di stupefacenti in caso di interventi della polizia: la consegna delle dosi avveniva a periodi regolari attraverso un paniere attaccato a una fune. Con lo stesso sistema di carico e scarico avveniva anche la consegna del denaro racimolato durante la vendita di “stecche” di marijuana vendute a 10 euro a dose o di “palle” di cocaina al prezzo di 20 o 30 euro. 500 cessioni al giorno contano gli inquirenti, per un giro d’affari come detto di oltre 10 mila euro in alcune occasioni. Dopo che le vedette bonificavano la zona e il passaggio era libero dagli sbirri mediante una scala il lanciatore prendeva posizione su un palazzo o su un balcone, solitamente di edifici abbandonati. Lo spaccio di marijuana e cocaina avveniva nell’incrocio tra via Alogna, via Trovatelli e via Della Lava. La marijuana era venduta in “involucri di carta argentata del peso di due grammi per il prezzo di 10 euro”, la cocaina era in “involucri di carta cellophane termosaldata del peso di 0,2 grammi (i cosiddetti quintini), venduti al prezzo di venti euro, o del peso di 0,25 grammi (cosiddetti quartini) vendita a trenta euro”.
Una “spa della droga” che oltre a un organigramma societario ben gerarchizzata operava con due turni di lavoro ben stabiliti. Il primo era dalle 14.30 del pomeriggio alle 20.30 di sera, il secondo dalle 21 alle 3 del mattino. Anche nello spaccio funziona la legge del mercato: tra sabato e domenica la domanda di droga aumenta e per questo il gruppo aveva previsto per il weekend un’ora di straordinario fino alle 4 del mattino.