PALERMO – “Dopo le stragi di Roma e Milano nel ’93, progettammo dei sequestri di persona per finanziare la nostra attività: avevamo già scelto gli obiettivi e i nascondigli. Dovevamo rapire il nipote di un imprenditore che aveva una fabbrica di argenteria a Brancaccio e il proprietario del Giornale di Sicilia Ardizzone”. Lo ha detto, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Gaspare Spatuzza. “Il piano, che poi fu accantonato, era in fase avanzata – ha aggiunto -. E Graviano con una battuta mi disse: ‘affidiamo i sequestrati ai latitanti, gli diamo un po’ di lavoro'”.
Spatuzza, in precedenza, aveva parlato dell’omicidio di padre Pino Puglisi. “Purtroppo, e mi dispiace tantissimo, ho commesso, con vari ruoli, una quarantina di omicidi. Padre Puglisi voleva impossessarsi del nostro territorio. – ha raccontato -. Prima lo controllammo, poi si decise di ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perché sapevamo che un omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo per il delitto classico”.
“Era un sacerdote che andava per conto suo – ha raccontato -. E dava fastidio. Quella della sua eliminazione era una pratica aperta da almeno due anni. In piena campagna stragista – ha spiegato – nonostante avessimo sospeso le attività ordinarie, dovemmo occuparci di don Puglisi: questo per fare capire quanto dava fastidio”. Spatuzza fu tra gli esecutori materiali del delitto insieme a Salvatore Grigoli. “Si decise di simulare una rapina – ha detto -. Usammo una pistola di piccolo calibro per dissimulare la mano mafiosa. Un capomafia – ha spiegato – non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio”.
La deposizione di Spatuzza è stata preceduta da una schermaglia processuale tra la difesa dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, tra gli imputati, e i pm. Il difensore di Dell’Utri, l’avvocato Giuseppe Di Peri, ha chiesto che venga depositato agli atti del processo il verbale illustrativo della collaborazione di Gaspare Spatuzza, una mossa finalizzata a dimostrare l’inattendibilità del pentito che non ha parlato, nella dichiarazione di intenti imposta dalla legge ai collaboratori di giustizia, delle notizie apprese dal boss Giuseppe Graviano su Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Per il legale, Spatuzza ha parlato delle circostanze riferite da Graviano dopo i 180 giorni che la legge indica come termine massimo entro il quale i pentiti devono dire all’autorità giudiziaria quanto a loro conoscenza. Le dichiarazioni tardive vennero bollate dalla corte d’appello di Palermo che condannò Dell’Utri nel 2010 per concorso in associazione mafiosa e che stigmatizzò il comportamento di Spatuzza dichiarandolo inattendibile. La Procura ha depositato un verbale illustrativo aderendo all’istanza del legale. Ma il difensore ha sostenuto che quello prodotto dai pm non è il verbale da lui richiesto, esistendone uno precedente. La Procura ha replicato che quello a cui il legale ha alluso è solo il primo verbale di interrogatorio reso dal collaboratore, non il verbale di intenti.
Berlusconi e Dell’Utri
Torna a parlare dell’incontro romano con il boss Giuseppe Graviano, in cui il capomafia gli avrebbe fatto il nome dell’ex premier Silvio Berlusconi e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, il pentito Gaspare Spatuzza, che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il collaboratore di giustizia, interrogato dal pm Francesco Del Bene nell’aula bunker di Rebibbia, ha raccontato un episodio che sarebbe accaduto a gennaio del 1994 quando Spatuzza e un nutrito numero di killer di Cosa nostra erano a Roma per organizzare un attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico, poi fallito. “Con un’aria gioiosa mi disse – ha raccontato – che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa. Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza”. “Poi – ha spiegato – aggiunse che quelle persone non erano come quei 4 crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra”. “‘Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene'”, avrebbe detto Graviano. “Poi – ha continuato – mi fece il nome di Berlusconi e aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”. Il boss avrebbe aggiunto che era necessario continuare a preparare l’attentato ai carabinieri perché – disse – “gli dobbiamo dare il colpo di grazia”.
I pentiti
“Se abbiamo consegnato la verità alla Storia non è certo per la Commissione pentiti presieduta da Mantovano e da chi l’ha istigata”. E’ lo sfogo del pentito Gaspare Spatuzza che, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, ha replicato così al pm che gli chiedeva perché abbia fatto tardivamente i nomi di Berlusconi e Dell’Utri. Il collaboratore ha alluso alla decisione della commissione di non concedergli il programma di protezione, decisione poi bocciata dal Tar. “A giugno del 2009, durante un interrogatorio coi pm di Firenze – ha aggiunto – seppi che le Procure di Palermo e Caltanissetta avevano dato parere favorevole per la concessione del programma provvisorio di protezione e allora capii che dovevo chiarire alcuni omissis come quelli relativi a Berlusconi e Dell’Utri”. Spatuzza ha ripercorso tutta la storia della collaborazione avviata a marzo del 2008. “Volevo chiudere i conti con un passato che mi stava avvelenando – ha detto – Ma c’era un problema serio con i processi chiusi di via D’Amelio e col versante politico che mi avrebbe potuto creare problemi come poi avvenne”. “Io ci credo alla giustizia e sono qui per la verità e per chi l’aspetta – ha aggiunto – La mia collaborazione è vera e seria e lo dimostrano le sentenze”.
(Fonte ANSA)