L’incompiutezza è il filo con cui Daniela Sorrentino tesse la trama del suo romanzo (‘Storia di una Capanera’, Albatros). Incompiuta è la vita della protagonista Olivia, a cui “… manca quel punto preciso di coincidenza tra la propria entità e tutto il resto intorno, qualche cosa che… quando si verifica prende il nome di felicità ”.
La felicità, nella vita, è però merce rara. E, dopotutto, si continua a sopravvivere alle piccole, grandi infelici dissonanze che sbilencano le nostre vite. Ma per Olivia, invece, non c’è requia in un presente indisponente al futuro. A lei viene riservato soltanto il senso acuto e lacerante di quella incompiutezza, che dissacra anche la sua condizione di madre e di moglie di un rapporto ormai naufragato. Costretta in un allucinante girare a vuoto, che non riesce a trovare alcuna sosta né nel folgorio dei ricordi né nell’improvvisa possibilità di poter adottare una bambina ucraina, nessun lenimento né ipocrita concessione a se stessa può salvare ormai Olivia.
Neppure i voli immaginifici della fantasia, nei quali elucubrare una realtà fittizia, vengono risparmiati dallo scontare l’ineluttabile impatto con la realtà. In un epilogo che ne sarà la cruda, irreversibile conseguenza.