PALERMO– Adel El Ali ha trentaquattro anni ed è uno dei siriani che vivono nella città di Palermo. Sposato e papà di cinque figlie, alloggia con la sua famiglia presso le strutture del Centro diaconale valdese. Adel qui fa il muratore e ha ripreso – in qualche modo – a fare il mestiere che svolgeva in Siria, dove, come capomastro, riusciva a guadagnare abbastanza da non far mancare niente alla sua numerosa famiglia.
La sua storia inizia da Homs, città al centro della Siria che ha visto scoppiare la più significativa rivolta contro il regime di Bashar al-Assad fra il 2011 e il 2012, tanto da meritarsi l’appellativo di “Capitale della rivoluzione”. “Quando abbiamo iniziato a ribellarci – racconta Adel – non avevamo l’intenzione di far cadere il governo vigente. Nelle intenzioni della protesta della mia generazione c’era quella di acquistare maggiori diritti, libertà, uguaglianza e possibilità di accesso alle cariche. Il sistema siriano, infatti, era del tutto bloccato e appannaggio della famiglia del capo del governo. Oltre ad un discorso esclusivamente culturale, la Siria si è trovata totalmente impreparata ad affrontare le sfide della globalizzazione, che hanno reso critica la situazione economica del nostro paese”.
Il giovane è convinto che povertà e mancanza di autonomia nelle scelte abbiano contribuito ad una progressiva spaccatura della comunità siriana. “Dopo l’inizio del conflitto – prosegue il rifugiato – la nostra vita è cambiata. Io, la mia famiglia, i miei quattro fratelli e le mie cinque sorelle abbiamo dovuto lasciare la città in cui siamo nati e ci siamo sparpagliati per tutto il Medio Oriente. Io, mia madre ed alcuni di noi, ad esempio, siamo rimasti in un campo profughi in Libano, fino a quando , grazie ai corridoi umanitari, sono arrivato in Sicilia”. Riguardo ai recenti interventi internazionali, il giovane auspica che Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Russia possano avere un ruolo decisivo nella pacificazione del paese, ma sottolinea: “Azioni come i bombardamenti della settimana scorsa servono solo a far capire chi ha la voce più grossa. Da entrambi i lati, gli eserciti mostrano la forza, ma a pagare sono i civili, i miei concittadini che muoiono”.
Adel non ha dubbi: “Palermo mi piace tanto, mi ricorda la mia città”. Un insieme di colori, sapori, profumi e calore umano che sembrano richiamare quelli del territorio siriano, prima che fosse sconvolto dal conflitto. Ma nonostante l’accoglienza palermitana, il trentaquattrenne confessa: “Se domani, fra un mese, un anno la città di Homs e la Siria tornassero ad essere dei posti di pace e tranquillità, tornerei a casa. Qui sono stato accolto bene e mi sono integrato. Palermo è una città accogliente e mai ho subito discriminazioni o atti di razzismo, ma il mio cuore batte lì, nella mia terra e fra la mia gente”.