Capaci, otto arresti per la strage in cui morì Falcone | Gli inquirenti: "Squarciato un velo d'ombra" - Live Sicilia

Capaci, otto arresti per la strage in cui morì Falcone | Gli inquirenti: “Squarciato un velo d’ombra”

I provvedimenti sono stati emessi dal gip di Caltanissetta. L'inchiesta della Dda, che si è basata anche sulle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, ricostruisce i tasselli mancanti relativi alle fasi deliberativa, preparatoria ed esecutiva della strage di Capaci. Il procuratore nisseno: "Dall'indagine non emerge la partecipazione di soggetti esterni a Cosa nostra". Gozzo: "Sono rimasti pochi buchi neri".  Arturo De Felice, direttore della Dia: "Ottima sinergia con la Procura di Caltanissetta".

CALTANISSETTA – Gli uomini di Brancaccio ebbero il compito delicato di procurare e preparare il tritolo usato nella strage di Capaci. Vent’anni dopo quel terribile 1992 emergerebbe, dunque, il ruolo del clan di Giuseppe Graviano nell’organizzazione dell’attentato in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

La Procura di Caltanissetta ha emesso otto ordinanze di custodia cautelare in carcere neinconfronti di altrettante persone, notificate dagli agenti della Direzione investigativa antimafia. Vengono chiamati in causa alcuni fedelissimi del capomafia di Brancaccio: Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello. Tutta gente che sta già scontando condanne per mafia. Ed ancora Cosimo D’Amato, il pescato di Santa Flavia. Anche loro sono detenuti da tempo. L’ultimo per il quale, l’anno scorso, si sono aperte le porte del carcere è stato il pescatore del paesino nel palermitano. L’inchiesta e’ coordinata dal procuratore Sergio Lari, dall’aggiunto Domenico Gozzo e dai sostituti Stefano Luciani e Onelio Dodero. Gli inquirenti parlano, a ragione, di “svolta che ha squarciato il velo d’ombra nel quale erano rimasti personaggi finora mai coinvolti nelle indagini sull’eccidio di Capaci”.

Dunque, un altro pezzo di verità sarebbe venuto a galla grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina.  È stato soprattutto il primo, killer di Brancaccio, a tirare in ballo uomini del suo stesso mandamento. Il clan Graviano procurò in fondo al mare a largo di Palermo duecento chili di tritolo che si aggiunsero al l’esplosivo già procurato da Giovanni Brusca.

Spatuzza racconta di quel giorno del ’92, quando un mese e mezzo prima della strage, assieme a Fifetto Cannella che gli aveva chiesto di procurarsi una macchina sicura, prima si diedero appuntamento nel porticciolo di Sant’Erasmo a Palermo con Barranca e Lo Nigro e poi si spostarono a Porticello. È lì che avrebbero incontrato Cosimo, il pescatore, che teneva alcune vecchie bombe dentro dei cilindri appesi ad una barca. Cilindri lunghi un metro che furono caricati in macchina e trasportati prima in una vecchia casa non lontano dall’abitazione dei genitori di Spatuzza e poi nel magazzino della ditta di trasporti per cui Spatuzza lavorava. Li’sarebbero stati smontati per prelevare l’esplosivo, macinato e lavorato fino a diventare fine come la sabbia. Si tratterebbe, secondo il collaboratore di giustizia, dell’esplosivo utilizzato per le stragi di mafia del ’92.

“Sulla strage di Capaci e in parte su quella di via D’Amelio sappiamo quasi tutto – ha affermato il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Domenico Gozzo -, ora possiamo concentrarci sul resto: sui pochi buchi neri rimasti. Come ad esempio un salto di qualità fatto da Cosa nostra che, da associazione mafiosa diventa associazione terroristico-mafiosa”. Gozzo ha partecipato alla conferenza stampa organizzata per illustrare l’operazione della Dia.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI