PALERMO – Sono lontani quei tempi da “tuoni e fulmini”. Quelli in cui il Partito democratico sembrava opporsi alle disinvolte operazioni di Crocetta a favore del suo cerchio magico. Oggi, di fronte all’imbarazzante teoria di nomine, rinnovi, escamotage, furbate spesso da amministrazione condominiale, i democratici tacciono. Tutti. Imprigionati nelle loro contraddizioni, nelle loro necessità del quotidiano.
Eppure, un po’ di tempo fa era diverso. Erano i tempi in cui, ad esempio, il partito prendeva una posizione pubblica e durissima contro la scelta di Crocetta di nominare in giunta Antonio Fiumefreddo che, al culmine delle polemiche, decise di rinunciare. A torto o a ragione, insomma, i dem davano segnali di vita, di fronte alla suddivisione crocettiana di poltrone e incarichi. Lo stesso era accaduto in altre occasioni simili.
Oggi, niente. Tacciono tutti. Per convenienza politica. O, semplicemente, come ha ammesso un leader siciliano dei democratici: “Perché oggi siamo dentro un governo politico. E i problemi proviamo a risolverli in giunta”. Ma la prova non sembra avere ottenuto un grande risultato. Perché Crocetta, soprattutto in questi ultimi mesi, fa quello che vuole. Approfittando di quelle contraddizioni e di quelle debolezze. Al punto da sfidare i partiti stessi dopo avere già sistemato una mezza dozzina di fedelissimi: “Anche le prossime nomine le decido io”. E voi zitti e buoni, insomma.
Eppure, non ufficialmente, i big del Partito democratico descrivono Crocetta come un “politico finito”. Altri, all’interno dell’Assemblea regionale giurano: “Lui non è il mio presidente”. Altri ancora, in enti regionali assicurano che “mai avevano visto un governo di così scarso livello”. Ma se provi a fare emergere queste voci dal “sott’acqua” delle dichiarazioni confidenziali, resta solo il silenzio. Il colpevole silenzio del Pd.
Colpevole, quindi non immotivato. Perché poco convincono le spiegazioni ufficiose di chi racconta che “in questa partita non intende entrarci”. Compreso il segretario regionale del partito, Fausto Raciti, anche lui in passato fortemente critico proprio con quel “modello Crocetta”: quello dei governi e sottogoverni riempiti di fedelissimi. Di quella partita, però, il Pd è protagonista, eccome. E così, il silenzio dei Dem suona anche, semplicemente, come una mossa di opportunismo politico. A tutti i livelli.
Perché, ad esempio, dovrebbe tornare a “ruggire” Antonello Cracolici? Lo stesso, per intenderci, che pochi anni fa, quando la sua area era fuori dal governo regionale, tuonava persino contro gli esterni negli uffici di gabinetto. Che parlava di “luce che si spegne” sul governo, di “giunta di camerieri” e via dicendo. Nel frattempo, infatti, Cracolici nel governo è entrato. E gli uffici di gabinetto li ha riempiti anche lui, di fedelissimi. Senza sottrarsi nemmeno alla tentazione di piazzare qualche “bandierina”: è il caso dell’Esa, ad esempio, dove ha messo alla porta l’ex direttore generale Maurizio Cimino e l’ha sostituito con un suo fedelissimo, Fabio Marino. Altra dirigente gradita all’ex capogruppo del Pd, Dorotea Di Trapani, invece, è stata piazzata a capo del dipartimento per lo sviluppo rurale e territoriale. Lo stesso Cracolici, adesso, sta pensando alle ultime nomine negli enti dell’Agricoltura: Vincenzo Cusumano all’Istituto vino e olio, ad esempio. O magari un nuovo presidente di Esa, che sostituisca Francesco Calanna, commissario pluri-prorogato graditissimo al senatore Beppe Lumia. “Saranno tutti dirigenti interni”, l’unica cosa che filtra dai Dem. Perché dovrebbe protestare, Cracolici, oggi che “guida” la macchina dei finanziamenti miliardari del Fondo per lo sviluppo rurale? E perché dovrebbe protestare un assessore come Bruno Marziano, che in tempi non troppo lontani puntò il dito contro Crocetta minacciando una denuncia per voto di scambio proprio, guarda un po’, su una questione di nomine, interne alla giunta. Oggi Marziano guida l’assessorato alla Formazione, che in passato è stato un efficientissimo motore dentro le macchine della clientela e del consenso politico.
Perché dovrebbe protestare, il Pd? Qualcuno sussurra che, forse, la delegazione degli assessori Pd chiederà a Crocetta spiegazioni e rassicurazioni sulla nomina a capo dell’Ircac di Sami Ben-Abdelaali. Tutto qua.
Nel frattempo, è scomparso dai radar anche il sottosegretario Davide Faraone. Che gioca a disinteressarsi delle questioni siciliane. Salvo poi, magari, rivendicare successi passati o futuri su precari e rete ospedaliera. Ma Faraone non si è visto, almeno pubblicamente, nemmeno in occasione dei violenti attacchi del governatore Crocetta all’assessore all’Economia Alessandro Baccei, inviato in Sicilia proprio grazie all’intervento di Faraone. E tace, il sottosegretario, di fronte a quello che sta accadendo sul tema dei rifiuti, dove in assessorato è esplosa platealmente una guerra di cui tutti erano a conoscenza da tempo: da un lato l’assessore renziano Vania Contrafatto, dall’altro Crocetta e il dirigente generale Maurizio Pirillo. Per il resto, Faraone, che aveva lanciato accuse durissime sui mascariamenti degli “antimafiosi 2.0”, o sulle manovre del cerchio magico, oggi tace. E fa finta di non essere all’interno di quella macchina guidata da Crocetta verso il baratro. Le elezioni si avvicinano. E lo “strappo”, oggi, si tradurrebbe nell’addio ad assessorati-chiave, e nella necessità di svuotare gli uffici di gabinetto pieni di fedelissimi. E così, tutti preferiscono sedersi sulla scomoda poltrona della contraddizione: con Crocetta e contro Crocetta. “Per senso di responsabilità”, ovviamente. “Per i siciliani”, certamente. “Per evitare lo sfascio”, spiegano nello stesso minuto in cui puntano il dito contro lo sfascio prodotto da Crocetta.