PALERMO – C’è una prima verità giudiziaria per lo stupro del Foro Italico di Palermo. Una ragazza di 19 anni fu violentata da un gruppo di coetanei in un cantiere abbandonato. Cinque dei sette imputati non hanno fatto appello. Una scelta per ottenere lo sconto di un sesto della pena così come previsto dalla riforma Cartabia.
Stupro del foro italico, la vicenda processuale
Per Angelo Flores, Christian Maronia, Cristian Barone, Elio Arnao, Gabriele Di Trapani la pena diventa definitiva. Per calcolare la riduzione si parte dalle rispettive condanne comprese fra 6 anni e 4 mesi e 7 anni. Solo Samuele La Grassa, che in primo grado è stato condannato a 4 anni, ha deciso di fare appello. Quest’ultimo non fece sesso con la diciannovenne, ma ammise di essersi masturbato. Il Tribunale gli aveva riconosciuto le attenuanti generiche e quella prevista per chi riveste un ruolo minore nella vicenda.
Diventa definitiva la ricostruzione dell’accusa. La ricostruzione della procura di Palermo tenne al vaglio del tribunale presieduto da Roberto Murgia. Una ricostruzione che si basava sulla denuncia della vittima, parte civile con l’assistenza dall’avvocato Carla Garofalo, e sul materiale investigativo raccolto dai carabinieri. Innanzitutto c’era il video. Angelo Flores filmò lo stupro con il cellulare. Gli amici si alternavano durante il rapporto sessuale, lui riprendeva e rideva.
Le intercettazioni
C’erano poi le intercettazioni. Alcune dal contenuto inequivocabile: “Amunì (andiamo) ficchiamocela”; “Amunì che ti piace”; “Che ha preso un palo di petto?”. Dopo essere andati via Flores scrisse a un amico: “Lei era tutta ubriaca… na scricchiamo tutti”.
Il giorno che convocarono tre imputati nella caserma della compagnia di piazza Verdi i carabinieri accesero le microspie: “La struppiò… lei non voleva, faceva ‘no, basta’… i pugni che le davano e pure gli schiaffi, non respirava e quello cercava di metterglielo nel c…”. Mentre descrivevano la scena temevano di finire “nella stessa cella” e di “spuntare nel telegiornale”. Meglio scappare “in Messico” o “in Thailandia”, dicevano.
Quei messaggi dopo lo stupro
Resta pendente in Cassazione la posizione di Riccardo Parrinello, il più giovane del gruppo processato separatamente (non era ancora maggiorenne) e già condannato in appello (fra tutti ha avuto la pena più pesante: 8 anni e 8 mesi). La notte dello stupro inviò dei messaggi audio ad un amico.
Ventiquattro minuti dopo le due di notte del 7 luglio 2023, un’ora dopo che la diciannovenne era stata abbandonata in strada, davanti a Porta Felice, Parrinello diceva: “Compà l’ammazzammu… ti giuro a me matri l’ammazzammu… ti giuro a me sviniu… sviniu chiossà di na vota… minchia sette… u vo capiri manco a canuscevo io compà… ficimu un macello n’addivirtemu”.
In sette si erano divertiti mentre facevano sesso a turno con la ragazza che cadeva a terra. Perdeva i sensi e urlava “basta”. L’amico lo riprendeva: “Però così è brutto”. “Troppo forte, invece”, rispondeva Parrinello. Le difese hanno sempre sostenuto che si era trattato di un rapporto consensuale. Sarebbe stata la diciannovenne a convincere i ragazzi a seguirla dalla Vucciria fino al cantiere del Foro Italico. Per invogliarli aveva mostrato loro dei video a sfondo sessuale.