Sarà bene smetterla di sfottere, qui entrano in gioco le coronarie di tutti. Abbiamo scherzato su quel cognome al dente che ben si presta alla cottura in salsa panormitana verace, al gioco di parole tra il frizzante e il volgare. Abbiamo spaccato il capello in quattro, ragionando sulle sue origini di bomber plebeo, nel senso proprio del termine.
Davide Succi non è nato con i quarti di nobiltà e una moneta d’oro in bocca, non possedeva un blasone di richiamo, né aveva un futuro da aristocratico nell’Olimpo dei cannonieri. Poi è sbarcato il duo Zamparini-Sabatini nelle preziose vesti del sogno americano. Yes my little Davide, gli hanno sussurrato suadenti uno dopo l’altro: ogni lavascale può diventare Rockfeller tra le braccia dello Zio Sam. Invece, nel cuore di papà Zamparini, perfino un attaccante ignoto avrà la sua brava carta da giocare nella bisca scellerata del destino.
Non ci si è arrivati per filantropia, per bontà d’animo, per cieca fiducia nel “Rosanero Dream”, è appena il caso di ricordarlo. ZampaSam, nei fatti, non esiste. E le parole di Sabatini (“Lo seguivamo da tempo”) suonano perfino beffarde, alla stregua di un rattoppo peggiore del buco. Davide Succi, sabato, vestirà la maglia del Palermo per un caso fortuito che ci auguriamo benevolo, soltanto perché è apparso come l’alternativa disperata di una campagna acquisti che prometteva la gigantesca montagna e ha partorito il classico e striminzito topolino. Succi il suo sogno americano e rosanero lo ha costruito partendo dalla doppietta del “Barbera”, in Coppa Italia. Due folgori che sono rimaste impresse nella retina collettiva di una dirigenza in cerca del nome di richiamo, prima dell’obbligatorio ripiego sul trottolino che aveva fatto impazzire la retroguardia rosa.
Il cursus honorum del “Pollicino” approdato in viale del Fante è abbastanza chiaro. Recita il curriculum raccattato via internet. Davide Succi, nato a Bologna l’undici ottobre del 1981. Cresciuto nel quartiere San Donato, muove i primi passi nella Croce Coperta Turris. La sua carriera di calciatore professionista, dopo il passaggio a San Lazzaro, inizia nella stagione ’97-’98, quando viene ingaggiato dall’Iperzola (l’attuale Boca San Lazzaro in C2). Da lì una serie di spostamenti col picco di un passaggio in A col Chievo e la fama di solido goleador in C e in B col Ravenna. Un manovale dell’area di rigore, uno che forse non possiede la scintilla della grazia che ispira i colpi dei fuoriclasse. Succi, ovviamente, non è Amauri, non è un ingegnere del gol. Somiglia di più a un concreto capomastro. Le sue reti – alcune davvero belle – odorano di cazzuola, sudore e stucco. E forse è meglio così. Questo Palermo pericolante non ha bisogno di Le Corbusier, vuole gente semplice, “pane e salame”, come scriveva Gianni Mura dell’onesto Cesare Maldini in veste di Ct per sottolinearne la rude schiettezza. Davide Succi ha il cognome adatto alla bisogna. Non disegnerà mai visioni sconfinate, più grandi del suo cuore di centravanti. Non prometterà grattacieli lanciati contro l’impossibile. Gli basteranno sempre un metro di coraggio e i suoi attrezzi per tirare su muri piccoli e utili. Cose che ti riparano dal vento. Cominciando, magari, da un gol nella porta della Roma.