Svesti la giubba - Live Sicilia

Svesti la giubba

Gli operatori della cultura italiani si dividono in due grossi insiemi: l'insieme composto da chi guadagna cifre 'eque' e che sottintende scuse per non poter immaginare di allestire un'opera e l'insieme composto da chi riesce ad arricchire il panorama artistico cittadino o regionale di artisti ed opere d'arte per decine di migliaia di euro senza nemmeno immaginare di guadagnare qualcosa.

Anche all’interno del Teatro Politeama Garibaldi si respira aria di austerità. Il pubblico misto e variopinto silenziosamente prende posto, nell’attesa che il maestro esca dalle quinte e faccia la sua comparsa in una scenografia magra. L’Orchestra Sinfonica Siciliana strimpella in penombra, accompagnata da un paio di colpi di tosse.

Aprendo uno dei pieghevoli distribuiti nel foyer scivola via una cartolina con il familiare volto di Verdi: “Gentile pubblico, la crisi economica su cui versa il Paese ha costretto anche la Fondazione a operare in regime di spending review: in quest’ottica […] siamo stati costretti a rivedere l’organizzazione generale del concerto in calendario 12 e 14 Aprile.” In sostanza il Rigoletto è, economicamente parlando, insopportabile, dunque l’allestimento sarà sostituito dall’esecuzione di un medley (un medley, capito?) delle principali arie dell’opera verdiana.

La Fondazione sottintende delle scuse che non sono comunque scritte da nessuna parte, su quella cartolina che solo di scuse dovrebbe essere. Una fondazione, la Fondazione, che vanta un elemento da trecentomilaeuro annui e che nonostante ciò non può permettersi di allestire il Rigoletto. Gli operatori della cultura italiani si dividono in due grossi insiemi: l’insieme composto da chi guadagna cifre ‘eque’ e che sottintende scuse per non poter immaginare di allestire un’opera e l’insieme composto da chi riesce ad arricchire il panorama artistico cittadino o regionale di artisti ed opere d’arte per decine di migliaia di euro senza nemmeno immaginare di guadagnare qualcosa. Il primo insieme, la classe dirigente, gli operatori culturali accreditati, quelli con la nomina per intenderci, non dimenticano mai di lamentare falle e mancanze, tesi come sono a giustificare falle e mancanze loro.

Il secondo insieme, in penombra come l’Orchestra, strimpella, produce, crea. Molti dei loro nomi non usciranno mai nei giornali. Loro sono la manovalanza, il braccio. Grazie a loro però, in una ‘reale’ ottica di spending review, in Italia qualcosa è mobil, qual piuma al vento. Certo non diventeranno mai ricchi, né, ovviamente, assessori ma nel sottobosco di chi la cultura la fa davvero loro sono qualcuno.

Intanto sotto la decadente impalcatura di un mondo che non esiste più, al cospetto di affreschi grattati via e lampadari anneriti, dirige l’orchestra il maestro Nicola Piovani, in nero. Strepitoso il tenore palermitano Corona, nella malinconica esecuzione di ‘Mal di Luna’, gradevoli le musiche della Suite Fellini, scontato, anche un po’ logoro, il tema de ‘La Vita è Bella’. E ha riscosso un enorme, scontato e logoro successo. Acclamato Piovani, anche quando prima del secondo bis ha deciso di parlare a cuore aperto a quel po’ di Italia presente in platea. “I soldi destinati alla Cultura non sono doni, non è sovvenzione, sono investimento’. Applausi, applausi.

Poi di nuovo l’incipit de ‘La Vita è Bella’. Standing ovation questa volta, per quelle note che tanto ci ricordano i trionfi del bel paese nel nuovo continente, la voce della Loren che urla un italianissimo ed ispirante ‘Roberto!’ e un Benigni dinoccolato e sorridente stringere in mano la statuina. Ma chissà perché, in risposta al suono di ‘Life is beautiful that Way’, saranno stati gli applausi, saranno state le emozioni, ma dalle vernici scrostate del soffitto l’eco che tornava era ‘Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto. Ridi del duol che t’avvelena il cor’.


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