Svolta nel processo d'appello, |Lo Faso da testimone a indagato - Live Sicilia

Svolta nel processo d’appello, |Lo Faso da testimone a indagato

Per l'omicidio del libraio di via Sciuti (nella foto) del 2000 è imputato Ivan Sestito, ma la corte d'assise d'appello di Palermo ha riaperto il dibattimento per risentire uno dei testimoni principali, Aurelio Lo Faso, ma questo volta come indagato di reato connesso.

Delitto Portinaio
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Si riapre il dibattimento nel processo a Ivan Sestito, accusato d’aver ucciso nel 2000 in via Sciuti il libraio Livio Portinaio. La Corte d’assise d’appello, quando doveva parlare l’ultimo difensore, ha emesso un’ordinanza per risentire Aurelio Lo Faso, uno dei testimoni fondamentali del processo, ma non come teste ma come indagato di reato connesso. Lo Faso sarà quindi ascoltato con le dovute tutele (e potrebbe quindi avvalersi della facoltà di non rispondere) pur non essendo mai stato iscritto nel registro degli indagati. La Corte ha fatto riferimento a un recente pronunciamento della Cassazione nel processo Mills. “Anche se non c’è stata una formale iscrizione nel registro degli indagati – ha spiegato l’avvocato di parte civile, Giuseppe Lombardo – ci sarebbero, secondo la corte, gli elementi sostanziali per sentire Lo Faso come indagato di reato connesso per la tentata estorsione alla famiglia di Sestito”.

Aurelio Lo Faso è il garagista che all’indomani del delitto del libraio raccolse le confidenze di Ivan Sestito (“Mi disse che aveva ucciso lui Portinaio”, ha detto al processo), il giovane tossicodipendente, figlio di un bancario, che nel 2003 confessò l’omicidio accusando però l’amico Maurizio Gentile di avere sparato a Portinaio. Gentile è stato condannato a 22 anni. Durante il processo, Lo Faso ha anche ammesso di aver scritto una lettera, con una richiesta di 200 milioni di lire, arrivata a casa Sestito qualche mese dopo il delitto. Lo Faso ha spiegato che avrebbe scritto la missiva per fare in modo che la famiglia dell’imputato andasse via da Palermo e non si rivolgesse più a lui per “proteggerli” dalle intemperanze del figlio tossicodipendente.


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