PALERMO – L’eolico in Sicilia? Un fallimento. A metterlo nero su bianco è stata la stessa Regione che in queste ore viene travolta da un’inchiesta che allunga l’ombra della corruzione sugli uffici e sulla politica. Ombre che sarebbero legate alle procedure per le autorizzazioni che sono diverse e coinvolgono enti differenti a seconda della “portata” del progetto.
Dall’eolico pochi vantaggi
Nella bozza del Piano energetico regionale, approvata proprio a inizio aprile, il governo scrive chiaramente che l’eolico non avrebbe portato lavoro, sviluppo sociale e nemmeno benessere ambientale. “Vi è da dire – si legge infatti nel piano – che il tumultuoso e confuso diffondersi dei grandi impianti eolici e fotovoltaici, conseguente agli incentivi nazionali del conto energia Pv e dei certificati verdi, non ha, nei fatti, rappresentato per la Sicilia quell’occasione di sviluppo economico e sociale che sarebbe stata auspicabile. Un discreto numero di aree siciliane – prosegue il documento – ha così raggiunto importanti risultati dal solo punto di vista energetico (in termini di potenza installata e quindi di generazione) ma non, contestualmente, dai punti di vista ambientale, sociale e dell’occupazione”.
Ma il governo crede nelle pale
Nonostante questo, la Regione punta a raddoppiare entro il 2030 l’energia prodotta negli impianti eolici. Così se oggi nell’Isola dagli impianti eolici sono prodotti circa 2,85 terawattora (e cioè 2,85 miliardi di chilowattora), la proiezione nel 2030 prevede che la produzione raggiunta sia pari a 6,17 terawattora; un incremento del 117 percento. Adesso però la Regione sembra voler abbandonare la filosofia dei “grandi impianti” e puntare su progetti di minore portata e maggiormente diffusi.
Tanti impianti, poco lavoro
La Regione, nel suo documento, prende atto del fatto che un impianto eolico che produce 1 megawatt di energia richiede 0,4 dipendenti a tempo indeterminato. Molta più occupazione viene prodotta, invece, dagli impianti fotovoltaici. Per questo gli uffici regionali scrivono che “si è, comunque, sviluppato anche in Sicilia, il piccolo mercato fatto di realtà artigianali della green economy, occupate nel settore della progettazione, vendita, installazione e manutenzione, della piccola impiantistica solare, termica e fotovoltaica, e del minieolico”. Sembrerebbe, insomma, che la Regione voglia puntare, come detto, sui piccoli impianti: più adatti a creare lavoro.
Gli impianti eolici al 31 dicembre del 2018 erano 879. Secondo quanto si legge nel piano energetico gli impianti termici dell’Est del Sud-ovest dell’Isola sono vecchi ma necessari: servono, infatti, per compensare le crisi che ancora oggi possono derivare dalle fonti rinnovabili o dalla difficoltà a trasportare questa energia dal Sud-ovest della Sicilia verso le altri punti isolani. “Tale distribuzione del parco di generazione (dell’energia, ndr) – continua il documento di pianificazione regionale – rende il sistema Siciliano estremamente squilibrato vincolando più del 30% degli impianti termici in esercizio e rappresentando un ostacolo anche allo sviluppo di nuova generazione in particolare da fonte eolica, in forte crescita negli ultimi anni nell’Isola”. Infatti oggi la produzione regionale d’energia elettrica proviene per circa il 71 percento agli impianti termoelettrici, seguiti dagli impianti eolici (circa il 16 percento), dai fotovoltaici (circa l’11 percento) e dagli idroelettrici (circa il 2 percento).
Il vento delle polemiche
E il tema delle autorizzazioni è stato, negli ultimi anni, al centro di polemiche e “liti” politiche. Il governo Crocetta, ad esempio, aveva dichiarato “guerra” ai parchi eolici, disponendo lo stop alle procedure per gli impianti. Uno dei primi motivi, in quei giorni, dello scontro con l’allora assessore regionale e magistrato Nicolò Marino: quest’ultimo riteneva infatti che le procedure giunte già in sede di conferenza di servizi non potevano essere fermate. Così, il governo Crocetta “virò” verso un’altra soluzione: la sospensione delle autorizzazioni in attesa del completamento della cosiddetta “zonizzazione”: la mappatura cioè dei siti idonei e di quelli non idonei per gli insediamenti. Ma in questo caso la decisione si scontrerà con un’altra pronuncia: quella del Cga che revocò appunto lo stop. Così, nel già nel 2016 i parchi erano ripartiti, seppur lentamente. In quei giorni ecco un botta e risposta tra Vittorio Sgarbi, notoriamente contrario alle pale considerato anche come l’affare più gradito a Cosa nostra, e il governatore gelese. Con l’arrivo del nuovo governo, le autorizzazioni sono ripartite. Un lungo elenco sul sito dell’assessorato all’Energia infatti dava notizia delle autorizzazioni concesse a cavallo tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. La notizia aveva spinto il governo regionale a prevedere una norma che sospendesse per 120 giorni queste procedure, in attesa di una verifica della compatibilità ambientale attraverso un piano regionale. Ma a questo norma si è opposto il nuovo governo gialloverde: il Consiglio dei ministri, infatti, il 6 luglio del 2018 ha deciso di impugnare quella legge regionale.
Come nasce un impianto eolico
In Sicilia per aprire un impianto eolico esistono tre autorizzazioni. Per gli impianti fino a 60 chilowatt l’ente competente è il Comune. Nei casi impianti sotto la soglia dei 20 chilowatt basta una comunicazione all’ente locale. Per gli impianti dai 20 ai 60 chilowatt, invece, la procedura cambia. Si deve ricorrere infatti alla Pas, procedura abilitativa semplificata. Trenta giorni prima dell’inizio dei lavori il proprietario deve presentare al Comune una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e degli opportuni elaborati progettuali. L’autorizzazione si intende fornita se l comune non si esprime con un provvedimento di diniego.
Per tutti gli impianti con una potenza sopra i 60 chilowatt invece si deve presentare istanza alla Regione, unico ente competente a fornire l’Autorizzazione unica. La richiesta va presentata al dipartimento all’Energia presso cui la pratica viene istruita. È questa struttura che convoca la conferenza di servizi, cioè un sistema di riunioni attraverso cui tutte le amministrazioni coinvolte si esprimono fornendo gli atti necessari per dare o negare l’autorizzazione.
Alcuni dipartimenti devono così produrre degli atti di verifica di coerenza del progetto con l’ambiente e con il paesaggio con l’intervento anche degli uffici dei beni culturali regionali e nazionali. Un ruolo chiave, però, è giocato dal dipartimento regionale all’Ambiente che deve elaborare la Via, valutazione di impatto ambientale e, se l’impianto supera un megawatt, occorre realizzare anche la valutazione di assogettabilità alla Vas, valutazione ambientale strategica. Per queste procedure la legge dà un tempo di analisi di 90 giorni ma le procedure vedono il dialogo fra le amministrazioni regionali e il cittadino o l’impresa che vuole ottenere l’autorizzazione e spesso si applicano delle modifiche ai progetti in corso. I tempi così possono dilatarsi anche di molto. E questo spesso diventa un problema per gli investitori.