PALERMO – Fu Giuseppe Di Giacomo, reggente della famiglia di Palermo centro, che volle Giuseppe Tantillo al suo fianco: “È venuto lui e mi ha detto, mi devi aiutare, io ho fiducia di te, al Borgo non ho fiducia di nessuno”. E così il picciotto divenne boss, a 36 anni e con pochissima esperienza alle spalle.
Era il 2011. Di Giacomo, capomafia che nel 2014 sarebbe stato ammazzato per le strade della Zisa, fece le presentazioni in una delle tante “mangiate” organizzate dal clan di Porta Nuova: “… ci aveva incaricato (Tantillo si riferisce a a se stesso e al fratello Domenico, arrestato assieme a lui) del Borgo Vecchio… di occuparci di estorsioni, cose varie, traffici”. All’incontro c’erano “Tommaso Di Giovanni, Alessandro D’Ambrogio, Nino Ciresi…”. C’erano pure “Nicola Milano, Lo Iacono Tonino, Rodolfo Allicate, Antonio Seranella… in cui venimmo presentati come responsabili del Borgo Vecchio”.
Il suo ingresso nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia non è stato immediato. I pubblici ministeri ci hanno messo del tempo prima di prestare il loro consenso. All’inizio, infatti, Tantillo aveva raccontato circostanze già riferite da altri pentiti. Poi, arrivarono nuovi spunti di indagine. Uno con un cognome pesante come il suo non poteva non conoscere le dinamiche della borgata.
All’iniziò Tantillo si occupava degli affari della droga: “… ci chiesero se avevamo un magazzino in cui loro potessero scaricare un quantitativo di hashish, di erba… di questa cosa non si doveva sapere niente, perché era un furto a persone di Partinico… era assai… che dopo l’avrebbero uscita nei vari quartieri…”. Forse non solo a Porta Nuova, perché probabilmente c’era un accordo con altri mandamenti. Si tratta di “840 chili” prelevati con “un furgone Doblò… venivano a fare vari viaggi, diciamo di 50 chili alla volta, 100 chili alla volta e hanno iniziato a distribuirla…”.
I fratelli Tantillo diedero prova di affidabilità e arrivò un nuovo incarico. Fu Alessandro D’Ambrogio, in cella con l’accusa di avere retto le sorti del mandamento, a incaricarli “di interessarci del traffico delle sigarette di contrabbando… visto che già ci eravamo occupati in un primo momento delle sigarette che uscivano dal porto…”. Dopo le sigarette la droga pesante: “… cocaina, 200 grammi, 300 grammi, a settimana, a volte nel periodo di Natale mezzo chilo”.
I soldi servivano per le famiglie dei carcerati. Tantillo raccoglieva i soldi e “li davo ai detenuti e li mandavo a tutti i detenuti che ci avevamo lì”. Il resto “noi li mettevamo da parte nel fondo cassa se capitava di fare un affare o aprire un negozio noi prendevano questi soldi e li usavamo”.
Tantillo era uno scrupoloso: “Mi davano i soldi a me, tutti i conti li facevo io, il libro mastro lo avevo io… anche delle entrate, dei traffici, la droga, estorsioni… tutto”. Il libro mastro lo mise subito nelle mani degli investigatori: “Ce l’ho nascosto nella consolle, in un primo momento era messo dentro un fono, quindi non lo hanno trovato i carabinieri… c’ho una consolle in marmo… si sposta e c’è il foglio… quello che mi ha dato Giuseppe Di Giacomo”.
I carabinieri del Nucleo investigativo si sono messi al lavoro sulla sfilza di nomi e cifre annotate nel libro mastro. Alcuni commercianti sono stati convocati e hanno ammesso di avere pagato la protezione dei boss, confermando l’attendibilità del picciotto che divenne boss.