TAORMINA- Un’esplosione di acclamazioni per Rigoletto, andato in scena a Taormina il 7-9 luglio 2013, nella sublime atmosfera che solo un teatro bi-millenario riesce a creare e a effondere sullo spettacolo. Rigoletto è un’opera lirica in tre atti, musiche di Giuseppe Verdi, libretto di Francesco Maria Piave, rappresentato per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia l’11 marzo 1851, tratto dall’opera originale “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo del 1832, appartenente insieme a Traviata e Trovatore alla “sacra trilogia popolare” giuseppeverdiana. Una nuova rappresentazione, originale nella regia, nella scenografia, nei costumi, nell’associazione vocale e orchestrale, nel recupero della “parola verdiana”, oltre che nel finanziamento.
La regia e le scene sono firmate dal poliedrico e blasonato Enrico Castiglione, che ha un curriculum da Oscar: dall’estate 2007 direttore della stagione opera e balletti del Teatro Antico di Taormina; fondatore del Festival Euro Mediterraneo a Roma, del Festival di Pasqua (Roma-Città del Vaticano), e del più recente Bellini Festival che ha debuttato nel 2009 al Teatro greco-romano di Catania con una memorabile Norma con June Anderson e Gregory Kunde, che continua con rappresentazioni tra Catania, Taormina e Puteaux.
“Ho immaginato un grande labirinto – ci dice Enrico Castiglione, che ha curato la regia e le scene -: i personaggi sono prigionieri dei loro sentimenti, del’odio, dell’amore, dell’invidia e delle beghe di corte. Una regia e scenografia aggressiva”. Così un grande labirinto irregolare caratterizza tutti e tre gli atti dell’opera, come indeterminato e tortuoso è il percorso dei sentimenti e della vita, nel cui mezzo e sopra si muovono i personaggi, “non siamo in un teatro stabile, -continua Castiglione- qui non si può cambiare con semplicità la scena, non abbiamo macchine né sistemi elettronici. Ogni modifica avviene in modo manuale, come una volta”.
Labirinto come symbolon, immagine utile fin dall’antichità per spiegare e materializzare il rapporto fra essente ed esistente, il percorso della vita, dalla nascita ad est alla fine ad ovest come quello “fumettato” nella chiesa dell’ex convento di San Francesco ad Alatri, oppure quello famosissimo nel pavimento della cattedrale di Notre-Dame a Chartres. Una storia senza tempo, il labirinto, nel quale ogni personaggio vi entra e vi percorre una strada, personale, singolare, diversa e, a volte, in contrapposizione con le altre: il Duca di Mantova, da un lato, alla continua ricerca del piacere (“dell’amor profano” diceva un famoso genovese…), rispecchiato nelle ballate e aree fra la più famose della lirica ottocentesca, come “Questa o quella per me pari sono … del mio core l’impero non cedo … s’oggi questa mi torna gradita forse un’altra doman lo sarà”, oppure “La donna è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier” (abilmente cantate dal tenore Gianluca Terranova), e dall’altro lato Gilda la bella, pura e bianca (anche nei magnifici costumi), animo romantico della storia, che dedica all’ingannevole Duca “Gualtier Maldè –falso nome del Casanova di Mantova- … nome di lui sì amato, ti scolpisci nel cuore innamorato”, fino a profetizzare quella fine che poi chiuderà l’opera “Col pensier il mio desir a te sempre volerà, e fin l’ultimo mio sospir, caro nome, tuo sarà” (in scena un’acclamatissima e brava Rocio Ignacio); Rigoletto, gobbo e giullare di corte, è vittima della sua stessa mala fama (in scena il baritono Carlos Almaguer che, applaudito fragorosamente dal pubblico, ha offerto il bis alla fine del secondo atto ne “Sì , vendetta, tremenda vendetta”), nella prima scena contrapposto alla onorevole e dignitosa figura del conte di Monterone (un capace Gianfranco Montresor), che interrompe la festa orgiastica alla corte del Duca per “gridare che vegga restarsi inulto di mia famiglia l’atroce insulto”, burlato, invece, dal deforme giullare di corte Rigoletto “Qual vi piglia a tutte l’ore di vostra figlia a reclamar l’onore?”, concludendosi la scena con la (inizialmente castigata dalla censura) <maledizione> “e tu, serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto!”. Ben riuscita la raffigurazione dei cortigiani “vil razza dannata” che rapiscono Gilda, scatenando tutto il seguito della tragedia verdiana.
Splendidi i costumi, a firma della abilissima Sonia Cammarata: classici, veneziani, colorati come quelli “da gallo” di Rigoletto con tanto di piume e cappello da giullare a mo’ di cresta, che all’ultimo atto della tragedia si “spenna”, perdendo quella colorazione di “aia” orgiastica e burlona; bianchi puri, ordinati e abbondanti quelli di Gilda, figura dell’amore verginale e sincero, che a tragedia immanente si scoprono lasciando le spalle nude; rigoroso da “gufo” l’abito di Monterone. Ricchi sfarzosi gli abiti del Duca, amante del bel vivere e della conquista d’amore, ma anche semplici, marroncini, quando si traveste da Gualtier Maldè, “studente sono, e povero”, per conquistare la pura e ingenua Gilda. Infine, come corvi, avvoltoi e lupi sono i cortigiani (coro), i cui malvagi intrighi e burle sono la causa scatenante della tragedia finale.
Originali e inediti il coro e l’orchestra. Il primo, diretto dal giovane e musicalmente ricco Francesco Costa, è composto dal Coro lirico siciliano, con sede a Catania, fondato nel 2008 e diretto dallo stesso M° Costa; l’orchestra è quella Sinfonica Bellini del Conservatorio di Palermo, arricchito anche da elementi dell’Orchestra sinfonica siciliana, la cui piacevole esibizione è stata mossa dalla capace bacchetta del M° Gianluca Martinenghi. I personaggi, applauditissimi, sono stati individuati dal regista non soltanto per le singolari capacità vocali, ma anche per quelle recitative e sceniche: “È uno dei cast migliori per Rigoletto, scelto per le migliori esigenze teatrali: gli attori devono sapere cantare e recitare” continua Castiglione.
Una novità rara è sicuramente il ritorno ad una rappresentazione oltre la tradizione post censura, come “impresso” nelle lettere che il paroliere e il musicista si scambiavano: così, nel terzo atto, il Duca travestito da ufficiale di cavalleria entra nella bettola di Sparafucile (un bravo Emanuele Cordaro) e “Due cose tosto … tua sorella e del vino” anziché “una stanza e del vino” come impose l’implacabile censura; oppure le scene “ammiccanti” che vedono il Duca e Maddalena sdraiati dopo il corteggiamento “Bella figlia dell’amore, schiavo son dei vezzi tuoi; con un detto sol tu puoi le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente palpitar.” (come non pensare al grande film Amici miei…), come può ben comprendersi nel completo, ricco ed aulico scritto del M° Domenico De Meo che firma il saggio critico del libretto di sala.
Novità assoluta nella rappresentazione è il suo finanziamento: “non abbiamo ricevuto neanche un euro dalla Regione. I nostri fondi proverranno dalla vendita dei biglietti e dai diritti televisivi”, ribadisce il regista e organizzatore, “ci auguriamo che la Regione premi simili capacità artistiche!”. Infatti, martedì 16 luglio alle ore 21,15 questo Rigoletto sarà in onda su Rai 5 e, successivamente, su Rai1 nel programma di Gigi Marzullo, oltre che sulle principali emittenti e piattaforme televisive internazionali. Si tratta di un autofinanziamento, possibile grazie alle già provate capacità organizzative di Castiglione, che ha visto nei precedenti anni il tutto pieno come non si vedeva dagli andati tempi di Sinopoli
Un teatro colmo, con oltre 2500 spettatori a serata che, grazie al circuito Microcinema e Rising Alternative, ha visto, la sera del 9 luglio, oltre 70 mila spettatori che in tutto il mondo hanno potuto assistere allo spettacolo in diretta, come dimostrano i messaggi provenienti dagli spettatori che tramite i social network hanno commentato live la trasmissione via satellite da Taormina. È un nuovo fenomeno mediatico per l’opera lirica, che stravolge l’idea di <opera al teatro> chiusa e per pochi eletti, come siamo stati abituati negli ultimi lustri, riaffidandogli, insieme alla musica, quel ruolo di catarsi culturale che in Italia è stata dimenticata per il sicuramente non superiore interesse di cassa.