È umiliante lo stato in cui si trova oggi il teatro dell’antica pòlis greca di Eraclea Minoa, a metà strada tra Selinunte e Agrigento. Martoriato dal degrado e dalla negligenza di chi dovrebbe tutelarlo. Protetto da uno spettrale e sfasciato “ombrello” che fa acqua da tutte le parti e inorridisce i malcapitati turisti, che sui social gridano allo scandalo: “Vergogna allo stato puro e 16 euro rubati”, oppure “Incuria imbarazzante”, o ancora “Meglio non perdere tempo e denaro”.
Ci troviamo in uno dei luoghi più affascinanti della Sicilia, dove il fiume Platani sfocia in una lunga spiaggia protetta da una pineta. Qui, su una bianca scogliera di marna calcarea a strapiombo sul mare, si trovano le rovine della colonia fondata dai selinuntini intorno al 560 a.C. per garantire la difesa dei propri confini e dei commerci.
La storia travagliata di Eraclea Minoa si perde nella notte dei tempi. Il suo nome è infatti legato a due figure eroiche della mitologia greca: Eracle e Minosse. Come narra lo storico Diodoro Siculo, il re di Creta arrivato in Sicilia inseguendo Dedalo, fuggito con il figlio Icaro dal labirinto dove lo aveva rinchiuso, fu ucciso proprio nel luogo che in sua memoria prenderà il nome di Minoa. Luogo in cui, secondo Erotodo, si rifugiarono anche alcuni spartani discendenti di Eracle, venuti in Sicilia per rivendicare i territori conquistati dal mitico progenitore. Da qui il toponimo di Eraclea, che si aggiunge al primo.
Contrariamente a quanto avviene per le città di Selinunte e Akragas, le fonti antiche danno notizia dell’esistenza di un teatro a Eraclea Minoa, la cui presenza viene già intuita nel 1776 dal pittore francese Houël. I primi “saggi esplorativi” furono eseguiti da Antonio Salinas nel 1907, ma bisognerà attendere gli anni Cinquanta per la “messa in luce” del teatro che ospitava circa tremila spettatori.
Gli scavi curati dall’allora Soprintendenza alle Antichità della Sicilia centro-meridionale rivelano subito che la cavea necessita di cure, ed evidenziano la fragilità della pietra gessosa con la quale è costruita. Nel 1960, l’architetto-museografo Franco Minissi – in quel periodo certamente la figura più autorevole del settore – viene incaricato di occuparsi della salvaguardia del monumento, isolandolo dall’offesa degli agenti atmosferici. L’idea era quella di coprire integralmente la cavea con lastre sagomate in perspex incolore e trasparente, che nel proteggere il teatro ne riconfigurassero l’immagine.
Per quanto come dichiarato dallo stesso Minissi, fossero stati presi “tutti gli accorgimenti possibili”, l’intervento si è rivelato un vero e proprio disastro, perché creando un effetto serra ha causato un’incontenibile proliferare di vegetazione infestante, sino a inghiottire letteralmente le gradinate. Solo alla fine degli anni ’90, le lastre, ormai ingiallite e crepate, sono state rimosse e la cavea restaurata sotto una tettoia montata per proteggerla durante i lavori. Disgraziatamente quest’ultima non è stata mai rimossa ed è ancora là a distanza di quasi vent’anni dalla conclusione dei restauri. Un groviglio di tubi Innocenti con pezzi della copertura in lamiera che volano via e mettono a rischio la sicurezza del pubblico. La pietra del teatro non è dunque più protetta dalla pioggia che letteralmente la scioglie, vista la sua natura gessosa.
Allo stato di abbandono fisico si aggiunge quello culturale. La voce su Eraclea Minoa nell’Enciclopedia dell’Arte Antica della Treccani online risale al lontano 1960 e sul sito-web di Coopculture, alla quale dal maggio del 2017 sono stati affidati i cosiddetti “servizi aggiuntivi”, i contenuti sono a tutt’oggi la fotocopia di quelli del sito ufficiale dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali.
Un sito, così importante per la storia del territorio agrigentino e per la sua economia, appare sempre più dimenticato. Nonostante i due parchi archeologici di Agrigento e di Selinunte siano complessivamente fruiti ogni anno da oltre un milione di utenti (dato in continua crescita), quello di Eraclea Minoa conta in confronto pochi ed eroici visitatori (circa 18mila nel 2017).
Alla fine della scorsa estate i vigili del fuoco hanno richiesto al “Polo Regionale di Agrigento per i siti culturali” di mettere in sicurezza la copertura. È il Polo infatti, ad avere dal gennaio 2017 la gestione del sito, insieme a quella dei musei regionali dell’agrigentino, da Licata a Sambuca.
“L’ordinanza dei vigili ha interdetto la visita al teatro, ma dato che a fine anno mancano di solito le risorse economiche sul capitolo di spesa – dichiara Gioconda La Magna, direttrice del Polo – è stato possibile solo all’inizio del 2018 richiedere la somma urgenza per la messa in sicurezza della copertura”.
Appare incomprensibile però parlare di “somma urgenza” quando in realtà si tratterebbe di “ordinaria manutenzione”, aggravata dal fatto che in quasi vent’anni non è mai stato effettuato alcun intervento. Le circostanze che determinano la somma urgenza imporrebbero l’immediata esecuzione dei lavori. “Al momento – afferma invece la direttrice – attendiamo ancora il visto della Ragioneria Centrale per avviare la spesa di 40mila euro. La direzione dei lavori sarà da noi assunta congiuntamente con l’unità archeologica della Soprintendenza di Agrigento che mantiene la tutela del bene, mentre noi ci occupiamo della sua valorizzazione nella qualità di ente gestore”.
Ma con un importo dei lavori così contenuto, coerente con la logica della somma urgenza, la copertura si potrà solo “rattoppare”. Il tema è delicato, più volte affrontato e mai risolto. Da tempo si parla di lanciare un concorso internazionale di idee. Mentre provocatoria appare la proposta di Gian Antonio Stella quando dalle pagine del Corriere della Sera, per porre rimedio a “decenni di interventi improvvidi”, si è spinto a ipotizzare di “seppellire il teatro e lasciarlo li finchè i nostri figli o i nostri nipoti non avranno studiato bene cosa fare” o, peggio ancora, di tombarlo per sempre ricostruendo in marmo la cavea del teatro, immolando così, “irragionevolmente”, l’originale inestimabile sacralità del monumento.
Traspare invece il convincimento che tutto sia concesso pur di fare cassa, come accade nei teatri di Siracusa e Taormina, dove in pieno spirito “Franceschiniano”, viene privilegiata la valorizzazione a danno della tutela del bene. Che fare dunque per la rinascita di questo luogo della cultura?
Forse chiedere ispirazione a Dedalo l’archistar più nota di sempre? Una figura anch’essa legata alla storia mitologica di Minoa. Oltre a costruire proprio qui, per il re dei sicani Cocalo, una città inespugnabile, Camico, le cui tortuose strade di accesso ricordavano il labirinto cretese, progettò a Erice un tempio sospeso nel vuoto che sfidava le leggi della gravità. Al cospetto delle sue audaci sperimentazioni d’ingegneria e architettura la copertura del Minissi e “l’ombrello” attuale appaiono in tutta la loro inadeguatezza.