PALERMO – Poco prima di annunciare le sue dimissioni l’ormai ex assessore ai Beni culturali, Vittorio Sgarbi, ha firmato un decreto che reinsedia il consiglio di amministrazione del Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento. Dopo un lungo commissariamento, il provvedimento era atteso da più parti. L’atto però ha suscitato le ire dell’amministrazione agrigentina con in testa il sindaco Lillo Firetto. Infatti, così com’è configurato dal decreto dell’assessore, il consiglio di amministrazione del Parco sembra somigliare più a un ufficio decentrato della Regione che a un organismo indipendente e plurale, quale dovrebbe essere, in grado di coinvolgere, già dal momento della sua costituzione le comunità locali.
Una decisione che sembra stridere con l’accordo di programma voluto dallo stesso Sgarbi per la definizione di strategie comuni di valorizzazione e di sviluppo culturale a garanzia dei risultati del piano di gestione del sito Unesco. L’accordo stipulato prevede, infatti, l’istituzione di un tavolo tecnico del quale fanno parte insieme all’assessorato dei Beni culturali, il Parco archeologico della Valle dei Templi, la Soprintendenza, ma anche il Comune e la Diocesi di Agrigento.
Qual è il motivo di tanto disappunto? “La vicenda è davvero singolare – afferma il sindaco –. Un momento tanto atteso si è trasformato in un assurdo tira e molla che sostanzialmente potrebbe accentuare le distanze tra Parco e territorio, tra una sorgente di ricchezza per la Regione siciliana e una città sempre più depauperata dal punto di vista economico e privata della sua titolarità”.
Per questo motivo il Comune ha intrapreso un’azione legale contro il decreto di nomina del Consiglio. “In realtà confido ancora in un dialogo costruttivo con il governo regionale – dice Firetto –. Non è per noi una questione di principio ma di sostanza. Tutta la città di Agrigento è sito Unesco, il Parco ne è parte, la più importante, il suo gioiello che non può essere avulso dal territorio di appartenenza”.
In effetti l’acropoli della Polis greca ricade nell’attuale centro storico come le vestigia del tempio di Atena che si conservano compresi nella chiesa di S. Maria dei Greci. Per continuare con la metafora del gioiello si potrebbero usare le parole di Flaubert: non sono le perle che fanno il collier ma è il filo che le regge. Quel filo altro non è che il territorio della città, la sua storia, la sua comunità.
“E’ elementare che il bene culturale rappresenti un’opportunità e, in casi come Agrigento, la principale opportunità di sviluppo. Come dire che la città – continua il primo cittadino – non deve essere estromessa dalle strategie di sviluppo del suo bene-principe”.
Questo attrito tra la città e il Parco rischia di rendere impossibile la definizione dell’essenziale questione relativa al piano di gestione richiesto fin dal 2003 a tutti i siti mondiali inseriti nella Word Heritage List.
Quale potrebbe essere la soluzione? Secondo Fabio Granata, autore della legge regionale 20 del 2000 che istituì i Parchi archeologici, “a volte esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Basterebbe – spiega – riportare gli organi di governo dei Parchi al modello plurale e partecipato previsto nella prima stesura della legge e quindi prevedere, oltre al direttore, un consiglio del Parco presieduto dal Sindaco e composto dal Soprintendente, da un dirigente nominato dall’assessore e anche dai rappresentanti delle attività produttive, dell’università, delle associazioni culturali e delle guide turistiche”.
E ovviamente, la questione del cda è legata all’autonomia finanziaria dei Parchi. “I risultati straordinari di crescita e organizzazione testimoniati dal modello del Parco di Agrigento – afferma Granata – vanno estesi, insieme all’autonomia finanziaria e gestionale, a tutti i Parchi e ai principali musei siciliani e i loro direttori nominati in base a un bando internazionale per avere la certezza di una gestione efficiente”.
Tutto passa però dalle scelte del governo regionale: “La Sicilia in una stagione recente – ricorda Granata – è stata avanguardia legislativa sui beni culturali, come riconosciuto anche dal mio amico Dario Franceschini, che per la sua riuscita riforma nazionale si è molto ispirato ai principi e al nostro modello legislativo e gestionale. Sarebbe l’ennesima follia tornare indietro. Estendiamo invece il modello ai musei e istituiamo – aggiunge – l’intero sistema dei Parchi: avremo così creato un’infrastruttura materiale e immateriale formidabile per il nostro turismo culturale, senza un euro d’investimento ma semplicemente applicando le norme esistenti. Semplice no?”